Miti e Covid: ‘La Sardegna potrebbe vivere di solo turismo’
«La Sardegna potrebbe vivere di solo turismo».
È stata l’idea di tanti sardi, prima che il più antico e minuscolo killer dell’umanità, un virus, spazzasse via questa illusione.
Esattamente un anno fa, nel mio ultimo libro, spiegavo ai lettori che un attacco terroristico, una blue tongue, una peste suina, o qualsiasi altro imprevisto – un “cigno nero”, per dirla alla Nassim Taleb –, ha la capacità di portare in crisi interi comparti produttivi, e che esistono poche soluzioni per farvi fronte.
Quali?
Di Adriano Bomboi.
Oggi l’editoria è tra i numerosi settori colpiti dall’imprevisto arrivo del Covid-19. E al termine del lockdown, se posso permettermi un suggerimento per aiutarla, e per chi ancora non lo conoscesse, invito alla lettura del mio ultimo libro (“Problemi economico-finanziari della Sardegna”, Condaghes 2019).
Tra i vari temi, nel testo ho cercato di focalizzare l’attenzione del lettore su due argomenti:
1) la diversificazione;
2) l’innovazione.
Il primo argomento ha lo scopo di contestare uno dei maggiori limiti dell’economia sarda: le monoculture. Ossia l’idea ricorrente, e spesso disastrosamente messa in pratica, che la Sardegna possa vivere nel benessere affidandosi solamente ad un preciso settore, sia esso il turismo, l’agroallevamento, etc.
Dunque che cosa si intende per “diversificazione”?
Nell’economia finanziaria il concetto indica una strategia di riduzione del rischio. Cioè la necessità di non investire in un solo prodotto per evitare di esporsi agli inevitabili imprevisti del caso.
I fatti confermano tutta l’attualità di questa necessità, che, attenzione, non implica l’abbandono di un determinato settore a vantaggio di un altro, ma la comprensione del fatto che un’economia in salute deve potersi orientare con profitto in diversi ambiti. E che per farlo con successo deve poter sviluppare il secondo argomento che abbiamo citato: l’innovazione.
Tra i vari luoghi comuni che per anni hanno illuso i sardi, ma anche la loro classe politica, esiste l’idea, solo per citarne una, che i sardi siano naturalmente votati all’agroallevamento. Oppure che in qualche modo le istituzioni guideranno la nostra economia verso lo sviluppo.
La realtà purtroppo è di gran lunga più complessa. Tra i nostri errori esiste sicuramente la tendenza a pensare che spetti solo alla politica occuparsi dello sviluppo del mercato e non allo spontaneismo del mercato stesso. Il quale invece ha solo bisogno di essere messo nelle condizioni di operare al meglio, riducendo il fisco e la burocrazia, ma anche investendo in formazione. Perché solo la crescita del capitale umano, cioè la preparazione dei nostri futuri imprenditori, migliorerà i settori nei quali siamo già attivi (che non dobbiamo dare per scontati), e gli consentirà di investire in quelli in cui siamo indietro (pensiamo alle nuove tecnologie).
Con molta umiltà, capiremo che potremmo non diventare i primi della classe nel mercato globale, ma al pari di altre nazioni, piccole e grandi, che hanno investito nell’innovazione, e in generale nella crescita della propria produttività, sapremo far fronte con più risorse alle inevitabili sfide che la vita ci porterà davanti.
Nel libro troverete dati, esempi e argomenti con cui svilupperete meglio questi concetti, valevoli sia per chi reputa opportuno creare una Sardegna indipendente, sia per chi reputa opportuno proseguire il cammino con l’Italia.
Grazie per l’attenzione.
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