Punto per punto: Una replica pubblica all’ideologo di IRS F. Sedda
“La differenza tra un apparente riformatore (conservatore) ed un vero riformista? Che il primo critica i morti, il secondo i vivi.” B.A. 2010.
Caro Franciscu,
Fatta salva la stima nei tuoi confronti, ho sempre guardato con sincero interesse alla tua capacità di andare oltre alcuni luoghi comuni dell’indipendentismo Sardo.
Circostanza provata anche dall’apertura del tuo movimento ad una serie di riforme dell’immagine e della comunicazione mai tentate prima con coraggio dall’ambiente indipendentista.
Elementi quali l’Europeismo, la moderazione dialettica, l’apertura verso un indipendentismo inclusivo e modernista, uniti a quello della riforma visiva, sono fattori che la critica (anche aspra) di U.R.N. Sardinnya ha lanciato, senza non poche polemiche, nei vostri e nei nostri spazi di discussione.
Ma sono rimasto profondamente deluso dal tuo ultimo articolo sulla morte di Cossiga, non perché voglia apparire in qualità di “avvocato postumo” di tale personaggio, ma perché il tuo scritto si pone su un piano non idoneo, rispetto alla complessa valutazione che merita, come si pone su un piano di evidente strumentalizzazione che affonda le sue radici nella dottrina di IRS che promuovi e che porti avanti.
Il 20 agosto hai affermato:
“Quello che la maggior parte delle persone non sanno….è che nella bara, come chiaramente indicato dalle bandiere, c’erano le spoglie dell’Autonomia e delle sue mortali contraddizioni.”
1 - Ti confesso che non lo sapevo neppure io, perché ci vorrebbe parecchio coraggio ad affermare che Cossiga sia stato il capofila del contradditorio autonomismo Sardo. Al contrario, fu ben lucida la sua posizione nel volerlo superare. A Chiaramonti nel 2001 dichiarava:
“Fu il nostro, abbiamo il coraggio di confessarlo, un autonomismo quasi senza anima – anche se con molta, anzi troppa retorica -, un autonomismo Stato-orientato e purtroppo angosciosamente stato-petente; un autonomismo nutrito certo anche di grandi tensioni ideali (ricordiamo Anselmo Contu, Salvatore Mannironi, Francesco Fancello, Stefano Siglienti, Pietro Fadda, Pietro Mastino, Luigi Crespellani, i fratelli Giovanni Battista e Mario Melis, Paolo Dettori ed Armandino Corona), tutti nello spirito originario di zio Camillo Bellieni, fondatore del Partito Sardo d’Azione e di Emilio Lussu, primo leader e suo principale combattente; ma un cosiddetto autonomismo nutrito sempre e soprattutto, ahimè, di richieste, di rivendicazioni e anche di piagnistei più da sudditi di Madrid che da cittadini della Repubblica Italiana; un autonomismo che, come mi confessò Antonio Segni, una volta divenuto Presidente del Consiglio dei Ministri, sembrava più mirato ad ottenere denaro e denaro che non alla conquista di una effettiva titolarità e all’esercizio responsabile di autonome competenze!”
Hai proseguito dicendo:
“…fanno il punto sul rapporto l’identità sarda e quella italiana, e dunque fra le due bandiere, nella visione di Cossiga e con lui di buona parte della classe dirigente sarda nella sua veste pubblica.”
2 - Che c’è di male nel sentirsi sia Sardi che Italiani? E’ una condizione che non riguarda solo la classe politica ma anche una discreta maggioranza del milione e mezzo di Sardi del quale dobbiamo rispettarne l’orientamento e batterci politicamente per costruire qualcosa di nuovo.
Ma tornerò su questo argomento nel punto 6 di questa replica perché è importante.
Hai affermato anche:
“Poco da aggiungere: la Sardegna, terra d’origine, da un lato, l’Italia Popolo‐Patria‐Nazione‐ Stato‐Repubblica, dall’altro.”
3 - Nelle esequie tuttavia sono scomparsi i funerali di Stato ed è apparsa anche la bandiera dei 4 Mori. Mentre Cossiga, ricordiamolo, a differenza degli indipendentisti, aveva elaborato una proposta di riforma delle istituzioni Sarde, comprensiva del riconoscimento della Nazione Sarda. Una proposta di riforma delle istituzioni dell’isola che, buona o cattiva, proprio dall’indipendentismo invece continua a mancare.
Ma d’altra parte oggi in Sardegna esiste una nuova dottrina: da un lato “il sincero indipendentismo non sardista che si riconosce nell’albero giudicale” (emblema di una civiltà estinta che non riguardò certo il Popolo Sardo nella sua interezza); dall’altro “il mondo del sardismo quattromorista, rivendicazionista, legato a doppio filo con l’Italia e succube della parabola di Bellieni sulla nazione abortiva”.
C’è forse quindi qualcosa di più nobile tra un indipendentista che giudica politicamente (prima che storicamente) i simboli della maggioranza del Popolo Sardo rispetto ad un signore che, pur riconoscendo la Nazione Sarda, si sentiva anche italiano?
Hai detto ancora:
“…divenuto in un lontano paese d’oltremare Presidente di una Repubblica acquisita, a cui tutta la fedeltà e l’amore ha sacrificato, che ricorda con nostalgia la lontana terra di provenienza da cui un tempo ormai lontano era partito.”
4 - Era anche tornato, ma noi indipendentisti gli abbiamo riso addosso, qualcuno l’ha anche giudicato per i suoi trascorsi (per carità, opera legittima), e l’abbiamo mandato a quel paese quando ha tentato di elaborare una proposta politica di unitarietà tra movimenti Sardi, seguita ad una proposta formale di revisione delle istituzioni Sarde. La stessa che continua a mancare da parte dell’indipendentismo. Se tu nel suo atto ci vedi i tipici tratti “antropologici” del Sardo piagnone all’estero…io negli indipendentisti ci ho visto i tipici tratti “antopologici” dell’orgoglio, della rivalsa sull’avversario ideologico del passato ma anche del protagonismo e della tutela della propria bottega rispetto allo spirito di squadra. Infatti, chi avrebbe mai potuto credere nel 2001 ad una fusione tra PSD’AZ e Sardigna Natzione?
Hai proseguito affermando:
“…c’è il senso della nostalgia di un luogo perduto, di una rinuncia mostruosa, di una vita abortita.
C’è forse il senso di colpa per una morte non evitata, per un delitto di cui si è stati in qualche modo complici. Qualcosa di certamente diverso ma di altrettanto sicuramente doloroso quanto la morte di Aldo Moro: la morte della nazione sarda, quella morte volontaria, liberamente e autonomamente scelta, di cui Cossiga parlò nel suo discorso a Chiaramonti. La nazione sarda si era suicidata nel 1848 o giù di lì per fondare lo Stato italiano. E per un conservatore, ciò che è stato è stato, indietro non si torna, ora tocca difendere l’esistente.”
5 - La cosa che ha difeso negli anni ’80 fu il Partito Sardo d’Azione dai processi del cosìdetto “complotto separatista”, proprio a seguito della scelta azionista di superare Bellieni con il congresso del 1980 di Porto Torres. Quella dei processi fu una controversa stagione nella quale la fusione tra il sardismo ed il presunto terrorismo separatista avrebbe comportato una drastica adesione del pianeta indipendentista alla clandestinità, con le sue ovvie ricadute su quella democratica e pacifica (ma lenta) affermazione dell’indipendentismo Sardo che oggi conosciamo.
Le “cose” che ha difeso quindi forse ci riguardavano pesantemente, sopratutto in un epoca in cui altri indipendentisti, durante la guerra fredda, all’estero si ritrovavano con la testa crivellata di proiettili, con il naso nel parabrezza dell’auto a seguito di un misterioso problema ai freni, e qualche volta in qualche anonima buca sui monti a far compagnia ai vermi.
Ma se l’avere dei Sardi nelle più alte cariche dello Stato Italiano ed anche nel personale di intelligence forse ci ha evitato il peggio, possiamo affermare senza timori che Cossiga sia pure stato un riformista: proprio perché a differenza dell’indipendentismo non si è fermato alle chiacchiere ma, finita la guerra fredda (e quindi in un periodo di maggiori possibilità per le minoranze senza stato), si è avvicinato a Baschi, Catalani ed altri, mentre in Sardegna ha cercato vanamente la collaborazione di noi indipendentisti, ed ormai isolato proponeva ad un Senato sordo ed indifferente un riconoscimento per la sua terra. Del quale evidentemente a noi non ci importava granché, se ad esso abbiamo anteposto un giudizio ideologico sulla persona.
Ma dobbiamo a lui oggi il trasversale interesse politico per la riscrittura dello Statuto Sardo, molto meno all’indipendentismo.
Ancora, hai affermato:
“Certo poi dichiarando nuovamente in chiusura che il tutto era fatto con amore per il popolo italiano.”
6 - Quì arriviamo al tema in sospeso.
Se si sentiva anche italiano non è un qualcosa di scandaloso. Forse lo è per noi Sardi abituati a vivere in uno stato dove la nazione deve essere solo una all’interno delle stesse istituzioni. E quindi, anche il sentire identitario, diventa un elemento a senso unico. E cosa dovrebbero dire allora i cittadini del Regno Unito – non indipendentisti – che spesso, vivono con 4 identità in una e se ne sentono appagati ed arricchiti?
Ti vorrei chiedere a questo proposito, tu che sei “non-nazionalista”, come vedi la cosa? Perché io da liberal-nazionalista vedo come una ricchezza la professione di mille identità nella vita di un uomo. Pur difendendo senza etnocentrismi quella di origine.
Ecco quindi la palese contraddizione della tua ideologia per IRS: da un lato contesti il pluralismo identitario dei Sardi dichiarandolo contradditorio, dall’altro qualifichi il tuo movimento come non-nazionalista, per di più sostenendo una bandiera (che per quanto rispettabile) rappresenta una civiltà Sarda scomparsa (quella arborense-giudicale). Una formula di recupero dei simboli passati nel presente tipica del romanticismo ottocentesco e di quel rigido etnonazionalismo reazionario che tanti lutti ha portato nella storia.
Sviluppare autocoscienza è un lavoro che non si fa attaccando etnocentricamente il dualismo identitario ma attraverso le riforme del nostro status sociale ed istituzionale.
Hai detto:
“Ma Cossiga, furbescamente, non sceglieva. Indicava solo le possibilità. O meglio, indicava un’alternativa mentre rimaneva nella sua volontaria fedeltà all’Italia.”
7 - Se ci si sente parte di due culture, non collidenti tra loro, perché mai bisognerebbe scegliere? Sarebbe una formula etnocentrista. Se si hanno incarichi di potere si possono indicare delle strade, se poi chi di dovere queste strade non le prende (anche perché, come suddetto, fu “Kossiga” a proporle), allora non si capisce cosa si stia contestando…E’ la classica pesantezza e lo stalking contro chi viene identificato come un avversario, ma più o meno direttamente questo diventa il Sardismo e non il centralismo.
Ancora:
“…perchè da sardista autonomista, lucido matto, sardo volontariamente italiano e politico di razza, sapeva una cosa molto semplice: ammainando il tricolore sarebbe andata giù, legata con esso, proprio come sulla sua tomba, anche la bandiera dell’autonomia, i quattro mori.”
8 - Questa è la frase che mi ha più deluso del tuo articolo: dopo aver eretto Cossiga a paladino della contraddizione in base a presupposti etnocentrici (che in IRS ritieni non esistano), hai strumentalizzato all’evidenza la sua morte per portare avanti il tuo filone politico-ideologico contro i 4 Mori (che sono un semplice simbolo delle radici del Popolo Sardo attuale, e non tanto dell’Autonomia. A prescindere dalle motivanti storiche di adozione).
Hai confermato la strumentalizzazione di bottega con la frase:
“…non ci riusciva, nonostante nel suo discorso di Chiaramonti evocasse come un lutto “la sconfitta dell’esercito sardo giudicale per opera dell’armata aragonese catalana ‐ e siciliana, sulla piana di Sanluri, nella tragica giornata del 30 giugno 1409”, quando i sardi sventolavano la bandiera con l’Albero verde in campo bianco.”
9 - Con questa affermazione concludi diverse operazioni: la prima è quella in cui scordi che le bandiere non sono eterne e lo stesso Cossiga adottò quella dei 4 Mori. Perché rappresenta(va) il Popolo Sardo, e non tanto l’Autonomia o la “nazione abortiva”.
La seconda è che, con questa lettera, ti “scordi” che esistono anche altri indipendentisti e che non tutti si riconoscono nell’albero giudicale in quanto simbolo della Nazione Sarda ma nei 4 Mori.
Il terzo è la solita “operazione”: quella appunto di accreditare alla sola IRS il campo di liceità politica dell’indipendentismo, quello “sincero”, nella cui controparte invece ci sarebbero i 4 Mori con tutte le loro contraddizioni. Ma se è per questo anche l’albero giudicale oggi lo troviamo come stemma di qualche comune in Catalogna…Come a Juneda (JPG).
Ma le origini storiche oggi contano poco in termini politici (specie se ci si dichiara “non-nazionalisti” e non si usa dunque la storia a proprio uso e consumo per dividere da terzi movimenti politici affini).
La tua perla finale:
“Alla Sardegna indipendente ci penseremo noi.”
10 - Beh, se ci penseremo allo stesso modo in cui abbiamo trattato Cossiga quando ci offrì un aiuto (e non solo a chiacchiere) e continuando a lanciare sassi di questo genere sul resto dell’indipendentismo, sull’autonomismo e sull’unico simbolo che oggi unisce il Popolo Sardo (come i 4 Mori)….
Io questa Sardegna indipendente faccio veramente fatica ad immaginarla…
Un sincero saluto. Pensaci.
Bomboi Adriano – Ass.ne U.R.N. Sardinnya
Peccato che questa intervista a Cossiga non prosegue:
http://www.sardegnadigitallibrary.it/video/delgiorno.html
Grazie per il contributo. L’intervista a Cossiga conferma inoltre un’altro punto della nostra linea, ben esemplificato dalla sua affermazione finale: “E lei la chiama la stagione dell’Autonomia?”
Il comune di juneda adotta un albero con 5 rami e 7 radici, giallo su campo rosso.
Non assomiglia nemmeno lontanamente all’albero giudicale. A questo punto potrei nutrire sospetti anche per la bandiera del Libano, o delle isole Norfolk, il primo riquadro dello stemma araldico dell’attuale Aragona.
Mentre nel il 3 riquadro dello stemma Aragonese si trova un simbolo che celebra una vittoria Aragonese contro i mori in località Huesca, ci sono proprio i 4 mori. Simbolo che ha rappresentato la fine della nostra libertà, al quale però ci siamo tutti un po’ affezionati, ma forse piu’ per il Cagliari Calcio o per la birra Ichnusa che per una reale conoscenza della nostra storia.
Senza polemica, volevo solo puntualizzare.
A me le bandiere piacciono tutte e due e le adotterei entrambe. I 4 mori come bandiera vera e propria, e l’albero giudicale come stemma ufficiale della Repubblica Sarda.
Eh nò scusi, c’è una bella differenza, a prescindere dalla colorazione e dal numero di rami, quello Catalano ha una stilizzazione similare a quello nostrano. Alla stessa maniera in cui i Mori possono apparire secondo diverse forme, ma sempre di albero eradicato (di una tipologia botanica similare) si tratta e sempre di Mori si tratta. Sono quindi entrambi dei simboli che avevano una loro diffusione nel contesto storico-istituzionale (ed ambientale, per l’albero) della vecchia Europa. Ma poi, per chi si dichiara “non-nazionalista”, che bisogno c’è di cercare la purezza a prescindere?
Nella bandiera Libanese c’è una specie botanica endemica a quell’area. E’ il cedro del Libano (una specie ben distinta dal nostro tipo di cedro) e che è facilmente riconoscibile nella loro bandiera. Glielo dico perché chiunque può vedere quella caratteristica pianta in Libano e distinguerla facilmente nel paesaggio e nella bandiera, come ho fatto io viaggiando. Durante l’Impero Ottomano la bandiera dell’area Libanese era un semplice cedro verde in campo bianco. Lo stesso discorso vale per la bandiera del Norfolk che rappresenta una specie lì presente.
Non è il numero di rami o il colore quindi a qualificare una specie, perché quello è solo un aspetto discrezionale del ritrattista che ha fatto il disegno, ma la sua silouette. E non si può quindi affatto pensare che quegli alberi c’entrino con la Corona Aragonese, sia appunto, per tipologia di specie, che per contesto socio-politico nel quale si presentano quei simboli.
Che i 4 Mori abbiano rappresentato la fine della nostra libertà è un’interpretazione politica, non storica. Bisogna anche considerare che il Giudicato Arborense non rappresentava una nazione (secondo i crismi attuali) onnicomprensiva di tutta l’isola. A livello ideale la si può anche prendere per buona, ma cosa c’entra col fatto che oggi i Sardi si riconoscono in una bandiera a prescindere dalla sua origine storica?
Delegittimare i 4 Mori è solo una piccola speculazione politica mascherata per “culturale”.
Anche gli Italiani poi si sono affezionati al tricolore per ragioni sportive e di marketing, Mussolini ad esempio fu il primo ad intuire che il calcio avrebbe contribuito a colmare le differenze culturali della penisola. Il fascismo fu il primo ad istituire il servizio di bus navetta con la distribuzione sistematica delle bandierine da sventolare di fronte alla squadra “nazionale”. Il metodo poi diverrà una prassi per varie competizioni sportive in tutto il mondo. Hitler con la svastica ne farà un’intera scenografia alle Olimpiadi di Berlino del ’36 con tanto di primo documentario in assoluto nel ’38 (Leni Riefenstahl). Nel nazionalismo romanticista lo sport è uno dei massimi strumenti di coesione popolare.
Anche a noi starebbe bene sia l’albero che i 4 Mori, il problema non è questo. Il problema è che Sedda, da buon semiologo impegnato in politica, è andato a costruire un’attribuzione ideologico-identificativa attorno all’albero con l’evidente fine di attaccare tutto ciò che si porta fuori da tale costruzione: I 4 Mori, Bellieni, i Sardisti, l’Autonomia, le contraddizioni, ecc. Ponendo questi ultimi tutti all’interno della stessa scala di pensiero. Cosa che non è.
Nei fatti però questa filosofia “non-nazionalista” non è altro che una forma di nazionalismo Sardo non ancora evoluta che al posto di integrare i simboli, punta a sostituirli. Il tutto poi accusando di contraddizione gli altri. E questo lo vediamo dalle numerose pubblicazioni di Sedda. Da quì la critica al pensiero di Sedda.
Un saluto.
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