Poltronifici: Regione ignora referendum e rilancia le Province

Poltronifici: Regione ignora referendum del 2012 e rilancia le Province, anche le più recenti, tra cui l’Ogliastra, ampia quanto un comune di medie dimensioni.
Opposizioni silenti.

Tra le giustificazioni del trasversale “partito della spesa pubblica”: «non si potevano abolire del tutto. Adesso ci sarà maggior manutenzione alle strade».
Una funzione in realtà già riassegnata alle Province con la riforma Delrio del 2014.

L’isola passa così dalla stagione del riformismo a quella della restaurazione.

Di Adriano Bomboi.

Per chi sogna un’amministrazione elvetica, i referendum sono inappellabili. Non rappresentano unicamente un fenomeno populistico, ma offrono o possono offrire alla politica indirizzi di buona amministrazione.
Non è stato così nei referendum non vincolanti del 2012, quando a gran voce i sardi si batterono per abolire tutte le Province (sia quelle storiche che quelle varate a seguito del 2001), ma non sono stati seguiti da una politica regionale e statale in grado di ristrutturare al meglio queste istituzioni.

Alcune forze politiche, tra cui gli allora Riformatori (non ancora trasformatisi in Conservatori), cavalcarono l’onda di una disaffezione verso questi enti intermedi tra Comuni e Regione. All’epoca si disse: “non vedete quanta astensione manifestano i sardi ad ogni loro elezione?”
A risolvere questo dilemma ci pensò tempo dopo il “riformismo” italiano, quando la legge 56/2014, la riforma Delrio, trasformò le Province in enti a suffragio ristretto, ossia non più eleggibili direttamente dai cittadini. E regalandoci inoltre una nuova istituzione: la città metropolitana.
Tali enti intermedi non scompariranno neppure a seguito degli opinabili tentativi di riforma costituzionale del governo Renzi.

In breve, la politica di maggioranza e di opposizione non ha rispettato la volontà popolare, e ha persino incrementato il numero di istituzioni. Un processo che oggi trova la sua conclusione nell’integrale ripristino delle Province sarde, accompagnato da una stampa sussidiata dalla medesima politica e dunque incapace di offrire un taglio critico alla notizia. Si passa da 4 a 6 Province, con Gallura e Ogliastra, più 2 città metropolitane, con Cagliari e adesso Sassari.

Ma per capire appieno il senso di queste pseudoriforme è bene inquadrare la cultura politica che le ha prodotte: ricordiamoci infatti che i disastrati conti pubblici dell’Italia spinsero l’Unione Europea a guardare con favore al governo Monti e a quelli successivi come maggioranze in grado di ristrutturare la spesa pubblica e contenere il debito del Paese. In contrapposizione purtroppo ad un ceto politico largamente e storicamente avverso alle riforme, il quale, pur di stare nei parametri europei, preferirà aumentare la pressione fiscale a carico dei contribuenti al posto di ottimizzare concretamente la spesa pubblica.

Anche in Sardegna la tendenza a lottizzare politicamente ogni spazio possibile ha trovato un formidabile alleato nei partiti minori (pensiamo al passato di Fortza Paris, al recente Partito dei Sardi, e naturalmente al PSD’AZ), i quali, pur di radicare rapidamente il proprio consenso elettorale, non hanno esitato nel fare un massiccio ricorso alla spesa pubblica.

Si tratta di una politica dal fiato corto, dove l’apparente utilità di queste riforme non è tale per i cittadini, costretti a pagare, in qualità di contribuenti, strutture aggiuntive e servizi non necessari.

Diciamo “non necessari” in quanto diverse tipologie di servizi potrebbero essere espletate con grande risparmio dell’erario tramite l’accorpamento di varie e piccole amministrazioni comunali. Si tratterebbe di un’autentica riforma che non danneggerebbe le varie piccole comunità stanziate nell’isola, ma al contrario fornirebbe loro più risorse destinabili ai servizi pubblici, tra cui la mitica manutenzione delle strade (una funzione già riassegnata in realtà alle Province nel 2014 dalla riforma Delrio).

Dobbiamo infatti considerare che sia la finta abolizione delle Province degli anni scorsi, sia la loro revisione regionale del 2016, e sia la riforma Delrio, non hanno mai diminuito il fiume di denaro pubblico destinato a questi enti intermedi.

Nel 2018 la Corte dei Conti, relativamente al 2017, ha registrato il seguente passaggio di risorse: la città metropolitana di Cagliari ha ricevuto oltre 15 milioni di euro, la Provincia del Sud Sardegna ha incamerato oltre 12 milioni di euro, quella di Oristano oltre 8 milioni di euro, mentre a Nuoro sono andati oltre 10 milioni di euro, e infine Sassari ne ha ricevuti quasi 15.

Ciò nonostante alcuni servizi pubblici hanno continuato a perdere qualità ed efficienza, per non parlare della discutibile trasparenza con cui sono stati gestiti.

Sfortunatamente, tanto la cultura politica italiana, quanto quella locale, non ha a cuore il benessere dei contribuenti, ma ritiene che una struttura istituzionale più costosa sia il mezzo con cui garantirsi una poltrona e il miglioramento dei servizi agli utenti, che invece finiscono sperperati nella moltiplicazione dei centri burocratici destinati ad erogarli.

Se dunque non hanno ragione di esistere dei microcomuni di 500 abitanti (che in un paese civile sopravviverebbero comunque come località inserite in amministrazioni più ampie), hanno ancor meno ragione di esistere microprovince come quella dell’Ogliastra, il cui intero peso demografico rispecchia quello di un comune di medie dimensioni.

Come si riforma un sistema simile?

Sarà la realtà stessa ad incaricarsi di farlo: i conti pubblici continueranno ad andare in rosso, e la crisi economica, in assenza di razionalizzazione della spesa, ridurrà la ricchezza che oggi la politica utilizza per trasferire risorse agli enti in cui ha scelto di procacciarsi una poltrona.

A quel punto però i tagli saranno di gran lunga più dolorosi per tutti, perché dovranno sopportare un peso più alto del debito e degli interessi per sostenerlo.

Sarà solo allora che comprenderemo i danni di una politica che pensava di essere lungimirante, ma che ha contribuito al dissesto sociale e finanziario della comunità.

Il ragionamento naturalmente riguarda pure gli amici sardisti della maggioranza, i quali, anche elettoralmente parlando, dovrebbero domandarsi se simili riforme (vedere pure sanità) siano effettivamente utili alla tenuta del consenso e del potere.
La storia politica della nostra Regione dimostra che le cose non stanno sempre esattamente in questi termini.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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