Perché ci attende un futuro di rovina
Il recente scontro tra il ministro Salvini e la giudice Apostolico rappresenta l’emblema di un paese in grave sofferenza culturale. Il che esprime la totale mancanza di visione sul modello di economia e di società che si intende portare avanti. Perché?
Non si sa cosa sia peggio: se un giudice cosiddetto “imparziale”, che manifesta in piazza con la sinistra radicale per aprire tutte le porte ai migranti, o un ministro che ha l’obiettivo di impedire ogni sbarco e a tal fine riceve da un agente di pubblica sicurezza un video in cui la giudice prende parte alla manifestazione.
Questi due fatti testimoniano un paese ostaggio del populismo, con istituzioni munite di una debole separazione dei poteri, e incapaci di collaborare per sviluppare un’equilibrata politica migratoria che offra una speranza di cambiamento alla collettività.
Perché proprio la politica migratoria potrebbe rappresentare uno strumento per migliorare (o peggiorare) la drammatica situazione di un paese invecchiato, iperindebitato, a bassa crescita, dalla scarsa produttività e dai bassi salari.
Come noto, ma non a tutti purtroppo, l’Italia studia poco e dunque ha una scarsa formazione del proprio capitale umano. Questa scarsa formazione non porta il nostro tessuto sociale ad investire nella crescita dell’economia, che rimane poco competitiva, concentrandosi su professioni a basso valore aggiunto. E la bassa produttività, anche in ragione di un diffuso nanismo aziendale, porta bassi salari, ossia un mercato del lavoro low cost.
Un aspetto che in teoria dovrebbe attirare più aziende straniere ad investire in loco, ma che in realtà si tengono ben alla larga dall’Italia perché la generale inefficienza della burocrazia, della giustizia e l’esosità del fisco ne vanificherebbero ogni potenziale vantaggio. Un fisco a sua volta esoso a causa di un’elevata e inefficiente spesa pubblica: pensiamo alla mole di pensioni retributive generate nei decenni scorsi, in cui DC e PCI avvallarono una precoce uscita dal mercato del lavoro. O all’inefficiente sanità italiana, soprattutto meridionale, pesantemente controllata dalla politica. In cui, almeno nel caso sardo, per offrire un esempio, ad una maggiore spesa non corrisponde affatto una migliore qualità, anche per via della penuria di personale medico ed infermieristico.
Per dirla in modo più semplice: non stiamo formando abbastanza ingegneri, medici, analisti, manager o informatici del domani, e neppure dei semplici idraulici o falegnami. Stiamo formando prevalentemente camerieri stagionali, raccoglitori di pomodori (mentre all’estero questo lavoro viene effettuato meccanicamente), o commessi. Lo dico con rispetto per queste ultime categorie.
E neppure si potrà contare sul favoloso “posto pubblico” come in passato. Non perché non serva nuovo personale nei servizi alla cittadinanza, ma perché il deficit elevato non consente di bandire più le assunzioni del passato (che all’epoca invece eccedevano oltre ogni ragionevole dubbio rispetto alla loro effettiva utilità).
Tutto questo avviene in un paese fortemente invecchiato, con poche nascite, che nel giro di qualche decennio perderà diversi milioni di abitanti, mandando in rovina pure il bene rifugio privilegiato di un paese semi-istruito: il mattone (come giustamente ci ricorda Davide Marciano).
Ecco dunque che in un contesto simile, oltre alle grandi riforme che teoricamente dovrebbero sistemare l’istruzione e riqualificare la spesa pubblica, ma che non si fanno, la politica migratoria può in parte limitare i nuvoloni temporaleschi che si addensano all’orizzonte.
Sappiamo certamente che la ricetta di Salvini e quella di Apostolico non rappresentano soluzioni percorribili.
Chiudere tutte le porte ai migranti condannerebbe il paese ad invecchiare sempre più, aumentando la spesa pubblica necessaria a far fronte ad una mole ingente di persone anziane. Persone anziane che a loro volta non potranno più contare, come nei decenni scorsi, su una popolazione giovane e lavoratrice in grado di versare contributi adeguati (anche per la fiscalità generale), e non saranno quindi in grado di sostenere pensioni e sanità dagli standard minimi accettabili per qualsiasi paese occidentale sviluppato. Sin dal presente, oltretutto, avvertiamo il peso di questi problemi, pur illudendoci che qualche milione di euro in più, magari in deficit o sottratto al capitolo della cultura, possa ridurre in breve i tempi delle liste di attesa nella sanità.
Di converso, aprire tutte le porte ai migranti, senza alcun freno, riforma o selezione, ci proietterebbe in una situazione altrettanto difficile da gestire, che non ridurrebbe affatto la spesa per il welfare favorendo un’economia sana e diversificata. Perché far inserire una massa ingente di migranti sottoqualificati, senza un tetto in cui vivere, in un mercato del lavoro imbalsamato come il nostro, significa in prospettiva incrementare la spesa pubblica per assistere persone che altrimenti starebbero a spasso. Con potenziali ricadute negative nell’ambito della pubblica sicurezza, in quanto, pur di sostentarsi, i migranti finirebbero preda della criminalità, organizzata e non. Contendendo pure ai nostri giovani meridionali (privi di laurea o laureati in lettere) il lavoro di camerieri, commessi e raccoglitori di pomodori. Risultando peraltro incapaci di competere con i mercati di altri paesi più dinamici, poiché aperti all’innovazione tecnologica, e di conseguenza più produttivi e dai salari più alti. In Sardegna invece c’è addirittura chi intende importare servi pastori dal Kirghizistan.
In conclusione, da governo e istituzioni italiane non si vede alcuna linea chiara di politica migratoria, e neppure una visione del paese che si intende promuovere. Ad oggi abbiamo solamente compreso che alcuni sognano un paese invecchiato e indebitato, che gradualmente consuma la ricchezza accumulata in tempi migliori, mentre altri sognano un paese giovane, impoverito, nel caos e indebitato.
Se queste sono le uniche opzioni sul tavolo, allora forse toccherà a noi diventare nuovamente migranti, per cercare miglior fortuna lontano da un paese avviato sulla strada del fallimento.
- Sul tema dei bassi salari e della scarsa formazione si consiglia la lettura dell’ottima sintesi, munita di dati, di Nazareno Lecis, presso Liberi Oltre, dal titolo “I salari non sono il problema ma la conseguenza” (06-10-2023).
Di Adriano Bomboi.
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