La Sardegna? Rovinata da ignoranza, populismo e assistenzialismo
Emorragia di imprese nell’isola, bacini idrici a secco e sanità con chilometriche liste di attesa. Una catastrofe dalle responsabilità bipartisan, accompagnata da una stilettata al cuore della riforma sulle autonomie differenziate da parte della Corte Costituzionale.
Come una politica mediocre sta distruggendo il tessuto sociale della Sardegna.
Di Adriano Bomboi.
Bentornati su Sa Natzione.
L’ISTAT ha certificato un +18,8% dell’export dell’economia isolana nei primi sei mesi del 2024.
Applausi dalla Regione. Tutto bene dunque?
Per nulla. Perché la componente maggioritaria di quell’export deriva dai soliti prodotti della raffinazione petrolifera, mentre su tutto il resto l’isola arranca e fatica, non certo a crescere, ma a tornare ai livelli pre-Covid.
L’ultimo rapporto della CNA sarda ci ricorda che nel solo 2023 l’isola ha perso ben 1.700 imprese. Una catastrofe, di cui la politica regionale, di maggioranza e opposizione, non pare essersi resa conto, essendo occupata ad inseguire vere o presunte invasioni eoliche che rappresentano più una delle conseguenze che non la ragione del declino.
Perché gli autentici segnali del tramonto, ben distribuiti in tutti i settori, sono attorno a noi e nella nostra vita quotidiana.
Qualche esempio pratico?
Mi giunge notizia che nel Pronto Soccorso di Nuoro, un codice verde, anche su persone anziane, richiede quasi 8 ore per poter essere trattato. Un tempo infinito, di cui non ha colpa la professionalità dell’esiguo personale medico disponibile, vittima di una politica che, a livello regionale, ha lottizzato le ASL, espandendo la spesa pubblica, mentre a livello statale ha lavorato per mandare presto in pensione i medici più anziani senza programmare per tempo adeguate sostituzioni e compensazioni. Danneggiando la qualità del servizio in un paese peraltro culturalmente ostile ad una crescita della sanità privata.
Chi ha creato il problema? Sia il centrodestra che il centrosinistra, a dimostrazione del fatto, come sostiene Luigi Marattin (Orizzonti Liberali), che il bipolarismo italiano non risolve i problemi con opportune riforme ad hoc, ma li perpetua.
In Sardegna questo avviene anche con la complicità del sardismo e dell’indipendentismo, del tutto privi di contenuti e di una classe dirigente in grado di lavorare a riforme volte a sviluppare la competitività dell’isola. Non mancano infatti di replicare slogan ideologici e pseudo-soluzioni mutuate dal panorama politico italiano.
La realtà invece si impone in termini sempre più drammatici: qualche mese fa a lavoro mi è capitato di incontrare una coppia di sardi residenti in Belgio, che in Sardegna avevano costruito una ridente villetta in cui godersi la pensione. Il marito mi raccontò a malincuore che aveva deciso di vendere l’immobile per passare la vecchiaia in Belgio: “Mi scusi, che ci faccio in un posto dove non c’è sanità e non c’è neppure l’acqua?”
Esatto, manca persino l’acqua per i comuni impieghi civili.
Pensate al territorio della Baronia, che per qualche settimana si è trovata costretta a razionare l’acqua per via della siccità che ha livellato il bacino idrico dell’area. Solo le ultime fortuite piogge e le riparazioni della fatiscente rete idrica, dopo decenni di incuria, hanno iniziato a salvare la situazione.
Anche in questo caso si pagano anni di lassismo politico, di cui non hanno colpa le ultime amministrazioni locali, ma la Regione, che non si è occupata di alcuna soluzione al riguardo e neppure in chiave turistica.
Al pari del terzo mondo, la politica regionale non ha supportato la costruzione di nuovi invasi, non ha messo in comunicazione i bacini idrici, non ha riparato le condotte idriche per tempo e non ha investito nella dissalazione (a seconda dell’adeguata opzione per il caso di specie). Insomma, per un motivo o per l’altro migliaia di persone si sono trovate senz’acqua in casa, col rischio di perderla anche nelle scuole e nei distretti sanitari.
Si può parlare di sviluppo o addirittura di “indipendenza” in una società in cui non si lavora neppure per garantire i servizi essenziali?
Che credibilità può avere una politica che cerca di affrontare un problema solo nel momento in cui i nodi vengono al pettine?
A dar manforte a questo declino ci pensano anche i più giovani, poco interessati ad investire nello studio (incluso quello delle professioni mediche, o di quelle idrauliche), ma bramosi tutt’al più di fare i camerieri per qualche stagione in qualche struttura alberghiera della Costa.
Eppure, se ai giovani manca la voglia di studiare o di intraprendere mestieri diversi da quello del lavapiatti e del servo pastore, ciò deriva sia dall’inadeguatezza della scuola italiana, sia da genitori e politici di bassa estrazione formativa. Una muffa culturale che prolifera nelle nostre case, capace di far credere loro che studio e intraprendenza “non servano” a sviluppare un lavoro utile per il proprio reddito, per l’economia del territorio e la società.
Una politica ignorante è infatti una politica incapace di offrire soluzioni, ma allo stesso tempo contraddistinta dall’uso, o dall’auspicio, dell’impiego di sempre maggiore spesa pubblica come panacea per tutti i mali.
Ad esempio, c’è l’idea che la Sardegna centrale perda abitanti per via della sola mancanza di alcuni servizi e di alcune infrastrutture.
La diffusa idea che basti qualche bus scolastico in più per rialzare le sorti della demografia interna alberga nella retorica degli sciocchi che ad ogni campagna elettorale fanno incetta di voti nei nostri territori, per poi tornare a Cagliari per scaldare la poltrona a spese dei contribuenti.
La Sardegna non ha bisogno di politici che parlano solamente di superbonus e salario minimo.
La Sardegna ha bisogno di politici che parlino di produttività.
Perché l’autentica crescita dei salari non avviene per decreto, ma tramite la formazione dei nostri studenti e degli imprenditori del domani. Persone che dovranno autonomamente investire e diversificare la nostra economia per farla crescere all’insegna della competitività.
Per arrivare a tutto ciò occorrono riforme della scuola, riforme del mercato energetico, del fisco e della burocrazia, altro che bus scolastici, bonus o sussidi.
Ci riusciremo?
La vedo dura.
Pochi giorni fa la Corte Costituzionale ha parzialmente bocciato il (maldestro) tentativo di riforma verso nuove autonomie differenziate. Il diniego non riguarda semplicemente l’annosa questione della determinazione dei Livelli Essenziali di Prestazione dei servizi pubblici (che in Sardegna appaiono già un miraggio vista la mirabolante “efficienza” di alcuni esempi che abbiamo citato). La bocciatura ha fatto in realtà passare il messaggio che le Regioni non possono competere tra loro – come avviene tra Cantoni in Svizzera – ma possono unicamente conformarsi a criteri di eguaglianza e sussidiarietà.
In altri termini, per badare alla sostanza più che alla forma: le Regioni più efficienti rimarranno obbligate ad assistere quelle meno efficienti, per cui le classi politiche di queste ultime non saranno affatto incentivate ad impegnarsi nel cambiamento.
I lettori più attenti avranno anche intuito che, se l’isola ha bisogno di incrementare i tassi di immigrazione per evitare la desertificazione sociale, ben difficilmente in un contesto simile sapremo invece frenare il tasso di emigrazione di quanti, non a torto, reputano utile lasciare la Sardegna.
- Tabelle:
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