L’ABC del sindacalismo: L’MPS esce dall’occupazione consiliare e insegna a tutti la democrazia. L’indipendentismo solidarizzi adesso

Delusi eh?
La baldoria è finita. Dai visi incappucciati passando per i “rasta-pastori” si è tornati al mondo reale, quello del comparto agropastorale a rischio.
Non riteniamo efficaci tutte le misure assunte nella piattaforma di dialogo che la Giunta Regionale ha intrapreso con il Movimento dei Pastori Sardi, frutto del solito compromesso che rischia di caricare sulle spalle del Pubblico la solita cultura assistenzialista piuttosto che l’adozione di soluzioni strutturali. Eppure, è giunta una notizia comunque importante.
Proprio così: l’MPS ha dato una lezione di democrazia a tutti.
Ha capito che l’occupazione di un luogo che rappresenta la sovranità popolare non può essere occupato ad oltranza tanto quanto una superstrada od un’altro servizio pubblico.
E’ il buonsenso degli stessi pastori dunque a mettere a tacere quanti, solo dopo i disordini di Cagliari, si erano accorti che i luoghi della democrazia non si devono forzare e si erano ridotti ad inventarsi i distinguo tra un Parlamento ed un Consiglio Regionale per giustificarlo, come se tali assemblee avessero un livello diverso di “farabutti da dover cacciare”.
La democrazia è sempre democrazia, a partire dal Congresso USA fino all’amministrazione del più scalcinato condominio di Kinshasa. E non sono le piazze o le minoranze a decidere chi è legittimato o meno a rappresentare una comunità, sia esso uno Stato od una semplice Regione/Nazione di tale Stato, ma la cabina elettorale. A prescindere da chiunque vinca.
Fatto salvo questo intangibile concetto che non può albergare in chi si riempie la bocca di pacifismo e pluralismo (salvo poi arrogarsi il diritto di decidere cosa è giusto o sbagliato in spregio ai risultati delle urne), invitiamo proprio adesso l’indipendentismo a vigilare e farsi promotore dell’appoggio di cui necessita la piattaforma sviluppatasi grazie all’attivismo dell’MPS. Un risultato a cui i pastori sarebbero comunque potuti giungere senza occupare il Consiglio Regionale, con un chiaro servizio d’ordine e mettendo all’angolo le teste calde.
Se quest’ultima operazione riescono a farla in contesti ben più difficili e complessi dei nostri, evidentemente non sarebbe stata un’utopia ma qualcosa di fattibile.
Il muro contro muro non giova a nessuno.

Ma d’altra parte, l’ideologia post-resistenziale italiana che preme nei sinceri convincimenti di tanti indipendentisti Sardi – che hanno appoggiato l’occupazione dell’MPS – li induce tutt’ora a considerare le forze di Polizia come “avversarie”, al servizio del potentucolo di turno, ignorando invece che esse espletano un servizio pubblico che non solo nella democrazia, ma nella prassi del proprio lavoro, trovano il senso del proprio agire. Un esempio pratico?
Secondo voi è pensabile che, durante una manifestazione di protesta, degli agenti possano far entrare in un luogo istituzionale dei soggetti che si presentano assieme ad individui urlanti, incappucciati e muniti di bottiglie di vetro?
Ebbene, esistono ancora persone nel 2010 che poste di fronte a questo interrogativo vi accuserebbero di essere di “destra”, e contro la “sinistra”. Evitando così la risposta.
Nella loro mentalità, frutto del loro fazioso attivismo politico del passato, le forze dell’ordine sono lo “strumento del padrone borghese che esercita il suo controllo sul popolino proletario”.
Cambiano le forme e le parole ovviamente, ma la visione è sempre quella.
In Scozia invece ci sono agenti indipendentisti, nell’Irlanda del Nord lo stanno diventando.
Ed in Spagna?
In Spagna, o meglio, in Catalogna il nazionalismo moderato avvicina alle istanze indipendentiste anche gli agenti. Nei Paesi Baschi invece il nazionalismo (quello di Batasuna) è riuscito a farsi illegalizzare.
Evidentemente se uno Stato segue linee di condotta (giudiziarie e di intelligence) diverse nel suo stesso territorio, una buona dose di responsabilità non vanno sempre cercate nell’oppressione statale (laddove c’è), ma anche nel metodo che il nazionalismo territoriale assume nei confronti delle forze di sicurezza.
In “Kurdistan” questo fenomeno fu segnalato dal fratello di Ocalan, che esule in Iraq, accusò il PKK (un tempo guidato attivamente dal celebre fratello) di essere uno strumento nelle mani dei Servizi Turchi, a scapito del Popolo Curdo.
Da noi la miccia che giustifica il movimentismo (pacifico ma maldestro) è quello determinato dallo stato di crisi diffusa in cui versa il nostro territorio, così si stuzzicano tante brave persone convogliandole alla protesta ma, col metodo sbagliato.
In Sardegna fortunatamente non abbiamo un indipendentismo politico munito di strutture paramilitari più o meno dichiarate, come succede all’estero. Abbiamo però ancora tanta cultura italiana, per giunta obsoleta.
Il problema spesso per il nostro indipendentismo dunque non è il contenuto della rivendicazione politica, ma il metodo attraverso il quale viene presentato quel contenuto.
E questo influisce inevitabilmente su due piani paralleli entro i quali dovrebbe muoversi il suo attivismo: nel primo non si capisce che, solidarizzando sul metodo sbagliato (come l’occupazione del Consiglio regionale) di una causa giusta (la soluzione della crisi economica), si delegittima e si lascia il campo aperto a dei rischi che proprio gli onesti, in caso di problemi, pagheranno. In questo caso perdendo anche una buona occasione di formare con responsabilità i propri attivisti. Nel secondo non si capisce che, solidarizzare con una categoria, come quella dei Pastori, eretta simbolicamente a mascotte delle istanze economiche e culturali del Popolo Sardo, si rivela essere un’arma a doppio taglio.
Se infatti si è politicamente irrilevanti, si solidarizza nel momento sbagliato e si svanisce in quello giusto. Non perché i nostri movimenti indipendentisti si chiamino fuori dai problemi della nostra terra, ma perché non hanno credito nel porsi come interlocutori nel momento in cui, con poco peso, si ritroverebbero non protagonisti ma gregari, costretti magari, ad un certo punto, a veder svanire il mito.
Quale mito?
Quello dell’MPS eretto a baluardo del Popolo Sardo. Senza nulla togliere agli onesti pastori Sardi.
Che figura ci farebbe infatti chi ha sostenuto l’MPS con tale tesi dopo che i pastori, eventualmente, accetteranno la solita politica assistenzialista offerta dai partiti centralisti?
Con quale faccia infatti un indipendentismo “gregario”, costretto ad inseguire l’MPS, dovrà infine solidarizzare con la politica centralista, vera mediatrice dei problemi del nostro “popolino proletario”? Perché essa solo sarà la vera interlocutrice dell’MPS.

Vi lascio con questo interrogativo, auspicando saggezza da parte dell’MPS e prudenza da parte dell’indipendentismo (che almeno dia un contributo al dibattito). Nel 1921 il Popolo Sardo non era socio-economicamente articolato come oggi e poteva facilmente trovare un solo referente politico come fu il vecchio Partito Sardo d’Azione.
Ma fin dalla Prima Repubblica abbiamo capito che la tromba suonava uno spartito diverso…

Di Bomboi Adriano.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    7 Commenti

    • Il Libano darebbe lezioni di civiltà alla Sardegna!!!!

      Sei ———–!!!!

      ***

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    • Esatto Sergio, in merito all’episodio menzionato, un Paese che ha conosciuto la guerra civile e che non teme l’uso delle armi potrebbe anche insegnarci cos’è la democrazia.

    • Adrià tenes rejone, su parlamenteddu sardu, massima espressione de sa democrazia at bisonzu de respettu.

      Ma si potet de aberu, ind’unu Istatu tra sos prus corrotos de su mundu, inuve su clientelismu e su votu de iscanbiu est sa normalidade, faeddare de autentica democrazia? jeo non lu credo; ca si elettore ispintu dae su bisonzu votat po interessu personale e non po cussientzia collettiva su resultadu finale est unu sistema democraticu farsu, de pacu pesu. Cherjo narrere chi si b’it istatu unu sistema democratiu seriu, sas manifestaziones puru fini istadas adeguadas. Onzunu gollit sos fruttos de su chi at semenadu.

    • Se è per questo però anche quasi tutto l’occidente porta avanti democrazie discutibili. Ma mettere in discussione il principio stesso che una minoranza si sostituisce alla maggioranza o la blocca in cambio di richieste (che poi se siano giuste è tutto da verificare), ci riporta indietro all’epoca dei regimi e delle rivoluzioni. Dove ogni mal di pancia fa un nuovo governo.
      In Sardegna chiaramente non c’è questo pericolo, ma ce ne son altri e sono proprio quelli dell’estremizzazione della protesta.
      E quando scappa il morto o c’è il danno a cose e persone, allora i responsabili morali prima che materiali sono quelli che hanno avvallato il superamento di quel principio, giustificandolo col fatto che “tanto non è una democrazia vera”.
      Se un movimento politico non capisce queste cose (o fa finta di non capirle), allora in caso di problemi diventa proprio il primo alleato del centralismo, che provoca per avere la repressione e per mantenere le cose come sono. A scapito delle persone oneste in crisi che scendono in piazza.
      E poi rimane la domanda, dopo che si sono caricati i pastori di un senso politico ben preciso, l’indipendentismo rimarrà dalla loro parte anche se, nel caso, accetteranno le solite perline dei conquistadores?

      Pratobello era un’altro mondo, oggi anche l’agropastorizia è formata da un nuovo tessuto sociale. L’indipendentismo deve porsi in nuovi termini: evitare le contrapposizioni ed evitare di caricare solo addosso ad una categoria il senso delle proprie battaglie. Non siamo negli anni ’70.

    • L’indipendentismo ha appana fatto una pessima figura nel dibattito appena terminato su Videolina. Semplicemente imbarazzante, impacciato e maldestro nell’argomentare.

    • “Cuasi tottu s’otzidente” as torra rejone, ma a nois nos dolet prus sa chistione locale. E no est su casu de che la creschere troppu, cussu de s’occupatzione, a bisu meu, est unu episodiu temporaneu determinadu dae su disisperadu bisonzu de chircare bisibilidade, cosa chi at funtzionatu bistas sa polemicas de su casu.

      Su disisperu de bidere sos sacrifitzios de tottu una vita andare male, no ca non ses capatze in su travallu tuo, ma ca ateros chi son prus in artu e detziden po tene non sono in gradu de ti tutelare o ca sinde affutini, produit custas o ateras peus cosas.
      Custu disacatu mannu, mascamente in sardinna, tocat tottu sos settores de s’economia, sinnale chi sa politica tzentrale e galu prus sa locale, o non resessit o no est capatze de drinpire s’incaricu chi li si est istadu assinnadu.
      Duncas sos veros provocadores sono sos amministradores chi non connoschende in sa pedde issoro crisi de buzzacca, non s’abizzana de cantu est male posta sa chistione in sa massa popolare, inuve paret chi meda familias gherrana a pondere inpare merenda e chena, arrivande in tzertos casos a s’umiliazioe de petire azutos a sos comunes o ateros ente bene dispostos.
      Beh, est fatzile pronosticare, chi si chie de cunpetentzia non ponet rimediu, ateras regulas domocraticas sun destinadas a brincare.

      Torrande a contos, su MPS no est una costa de s’indipendentismu, esistit dae una vintina de annos e non si identificat comente sindacatu e nemancu comente partidu politicu, custa natura autonomistica lu rendet auto-responsale e ininfluentzabile dae fortzas esternas.
      Ma a su matessi tenpus est dovere chi s’indipendentismu solidarizzete in sa lotta ‘e sos pastores, incantu non sono solu una conponente economica de sa sardinna ma vintzas, o menzus mascamente, unu pilastru de s’identidade e de sa cultura nostra, sutta custa ottica pacu contana sos orientamentos politicos de sos singolos pastores, mancari s’isperu arrunbat senper chi a calicunu li siet servidu po aperrer sos ocros.

    • L’articolo sottolinea che è lo stesso MPS ad aver abbandonato l’occupazione anche per via del clima di tensione che si stava sviluppando attorno (e per il quale l’indipendentismo non solo non si è preoccupato, ma l’ha sostenuto).
      L’altro aspetto è che non è stato l’MPS a caricare di idealità di rappresentanza del Popolo Sardo la sua azione ma, in parte giustamente, proprio l’indipendentismo.
      Ed i pastori oggi non sono più quelli di 30 anni fa.
      Da quì la domanda dunque: l’indipendentismo (a parte il solidarizzare nel momento sbagliato al posto di proporre soluzioni al settore), solidarizzerà pure quando, eventualmente l’MPS accetterà le classiche perline assistenzialiste dai partiti centralisti?
      Sono questi i temi posti anche a SNI, ma che si ignorano, forse perché non si sono adeguatamente valutati.

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