Opinione sulla convergenza natzionale proposta da A Manca pro s’Indipendentzia

Caro Sabino,

U.R.N. Sardinnya: la sigla è l’acronimo di Unione per la Responsabilità Natzionale:
Nel 2005, per “Unione” si è inteso il senso di unire un gruppo di nazionalisti Sardi senza partito i quali, a loro volta, avevano a cuore l’idea di unificare tutti i movimenti Sardi, giungendo così ad un fronte, un partito od una costituente che si sarebbe dovuta presentare all’elettorato in maniera compatta.
Per arrivare a ciò, l’idea era di dare corpo ad un nuovo piccolo movimento politico chiamato “Progressisti”, che fosse “non-nazionalista”, europeista e liberal-progressista (ispirandoci al laburismo anglosassone). Furono gli anni in cui rinnegammo la Lingua Sarda, uno dei peggiori errori che un indipendentista Sardo potesse fare. Ma i “Progressisti” avrebbero dovuto spingere il restante panorama indipendentista a riformarsi, ad uscire dalle secche del marxismo, del folk-ribellismo, dell’anti-europeismo, dei no-global e della frammentazione, ponendo gli interessi della Nazione Sarda non più sullo sfondo, ma al centro della comune azione politica. Da qui il senso di “Responsabilità Natzionale”. Ovvero persone che si univano in chiave riformista, per criticare ciò che – in parte ancora oggi – ritenevamo inadeguato. Un work in progress destinato a dare una nuova lettura graduale dell’indipendentismo Sardo, rivoluzionandone i canoni stilistici e culturali.
6 anni dopo, al di là dei sofismi sulle bandiere, è arrivato il Prog.Re.S. nel realizzare un progetto similare alla vecchia idea di “Progressisti”, densa di errori, che avevamo elaborato, e che non avevamo realizzato per alcuni semplici motivi: sia perché non avevamo i mezzi economici necessari (nonostante Doddore Meloni in tempi recenti abbia dimostrato che, con meno personale del nostro si potesse fare un nuovo partito, prendere almeno un migliaio di voti ed apparire sulla stampa), sia perché, contrariamente al primo motivo, abbiamo ritenuto che aggiungere un’altra sigla indipendentista al già triste panorama politico del 2005 non solo non avrebbe portato nella direzione del cambiamento, ma avrebbe alimentato ulteriore frazionismo, scoordinamento, tensioni e nuovi danni. E questo lo pensiamo ancora oggi.
Così U.R.N. Sardinnya, in attesa di evolvere ulteriormente i suoi obiettivi riformistici, si è concentrata sulla critica politica, contestualizzando nel presente i maggiori modelli nazionalisti delle minoranze internazionali senza Stato, ed orientandosi nel criticare tutti i singoli punti dei movimenti indipendentisti Sardi che abbiamo ritenuto obsoleti e dannosi, sia per l’immagine offerta verso la Pubblica Opinione, sia verso il nazionalismo Sardo nel suo complesso. Molto è stato fatto, tanto rimane da fare.

Vedo due elementi nella vostra proposta indirizzata ad alcuni movimenti Sardi, uno positivo ed uno negativo.
Quello positivo è che dopo tutti questi anni, proprio A Manca pro s’Indipendentzia, è il primo partito indipendentista tout court a riconoscere la necessità delle riforme graduali delle nostre istituzioni regionali. E se devo essere sincero, non mi aspettavo fosse proprio AMPI a riconoscere questa esigenza autonomistica prima di altre sigle politiche come IRS, Prog.Re.S. e SNI, che tentennano sulla materia nel timore di apparire troppo “autonomistiche”. Altrimenti che figura ci farebbero dopo che per anni hanno costruito un impianto politico prevalentemente basato sull’intransigenza piuttosto che sui contenuti delle riforme istituzionali da compiere?
In quest’ottica AMPI è la prima ad ammettere pubblicamente che, ad esempio, lo Statuto Sardo va riscritto e non si limita a fornire un ambiguo annuncio di partecipazione come quello offerto negli ultimi mesi dall’ex IRS del 2010 in tema di Costituente per superare l’Autonomia (o presunta tale) del 1948. Anzi, l’avete ricondotto ad una organica carta dei diritti della Nazione Sarda da redigere, che sia costituita dai vari elementi finora esposti in ordine sparso dalle varie forze politiche territoriali. Pensiamo alle infrastrutture, ad una politica energetica, etc.
Questo è un fatto importante, perché si riconosce che lo slogan “indipendentzia”, urlato per anni ai 4 venti da tutti, non è più sufficiente, ma va abbinato ad un percorso di grandi riforme istituzionali che a loro volta consentiranno alla popolazione, per gradi, di migliorare il loro livello di autocoscienza territoriale. Ovviamente questo dipenderà comunque dall’apporto che daranno i vari movimenti indipendentisti.
In buona sostanza, AMPI ha lanciato l’idea di creare un blocco di Responsabilità Natzionale che si faccia garante degli interessi della Nazione Sarda (che sono chiaramente da delineare).
Ma siamo pronti oggi ad affrontare un simile impegno con personaggi che da 10 anni si scontrano persino su contenuti analoghi? Io lo spero, ma non ci conto.

L’elemento negativo che scorgo nella vostra proposta è quello classico, retaggio di una visione dell’era post-bipolare nel mondo e che porta, non solo AMPI, ma quasi tutte le sigle politiche di quest’ambito (come SNI, IRS ed alcuni ex Rossomori, inclusi alcuni elementi del Prog.Re.S.) a condensare delle politiche similari. Tra le più note, pensiamo a quelle fortemente inquinate dall’ideologia, come il rapporto con l’ambito militare, o come l’approccio ad una visione “statalista” nella risoluzione dei vari problemi socio-economici dell’isola. “Abbalibera” e “Flotta Sarda” (vecchia idea sardista) sono alcuni di questi elementi. La vera crisi di struttura è dell’indipendentismo, poiché frammentato, senza seri fondamenti politici di fronte al bipolarismo italiano, ed ancorato ad una visione sociale di cui è ormai una paradossale vittima, organica alla partitocrazia italiana, in quanto diverse misure stataliste sono le stesse che consentono alle forze politiche italiane di annidarsi sul territorio attraverso le varie strutture clientelari. E solo delle liberalizzazioni (terreno su cui l’Italia è in volontario ritardo) potrebbero iniziare a scardinare il loro potere. Ma in Sardegna non abbiamo ancora un SNP capace di parlare senza problemi di liberalizzazioni.
La domanda quindi è: siamo sicuri che abbiano ragione di esistere tutte queste sigle politiche?
Dal 2005 ad oggi, con la progressiva introduzione di una visione liberale dell’indipendentismo, U.R.N. Sardinnya ha visto aumentare non solo alcuni temi positivi, ma inversamente a ciò, ha visto crescere la frammentazione (spesso confusa con il pluralismo) e la reiterazione di alcune classiche misure di derivazione socialista come quelle sopra descritte.

L’opinione di U.R.N, Sardinnya ovviamente non cambia, per noi erano obsolete le sigle del 2005, a maggior ragione lo sono oggi, specie in anni in cui il nostro vecchio ideale “Progressista” si è evoluto verso quello di un Partito Nazionale Sardo, liberal-democratico e sovranista, inclusi alcuni elementi già dibattuti in passato da vari nazionalisti di matrice sardista negli anni ’70.
Il PNS per noi non è una idea che punta a creare un “partito unico” ma semplicemente mira a ridurre la frammentazione dell’identitarismo Sardo per riformare la struttura delle nostre istituzioni, anche in coalizione con forze autonomiste. Ma per noi il PNS è una condizione futura, il fronte potrebbe essere quindi una condizione intermedia.
AMPI presenta dunque il solito limite che andiamo segnalando da anni: un malcelato anti-sardismo di base, ed un anti-autonomismo di ritorno (conseguenza del primo), ormai più propagandistico che pratico, datosi che avete riconosciuto la necessità di conquistare maggiore sovranità per l’isola.
E questo limite vi porta ancora a fare selezioni tra “buoni e cattivi” nazionalisti. Tra partiti Sardi che potrebbero tutelare meglio di altri partiti Sardi gli interessi della Sardegna. Nel vostro invito infatti mancano forze sardiste.
Per noi oggi un serio progetto politico non potrebbe mai passare in questa direzione, non solo perché riteniamo che l’elemento negativo della vostra proposta ostacola il primo, ma perché riteniamo che, a livello pratico, non esistano i numeri per portare avanti il vostro modello.
Numeri che vanno ricercati anche nelle componenti positive presenti all’interno delle forze sardiste ed autonomiste dell’isola, inclusi alcuni elementi dei partiti italiani. Una linea che ha spinto in tempi recenti anche l’On. Paolo Maninchedda a parlare di “Partito dei Sardi” e di condivisione trasversale tra diverse personalità politiche di un fronte riformista, inclusi alcuni settori dei Riformatori Sardi e la nuova Fortza Paris. Se la discussione quindi non avviene con tutti i protagonisti del nazionalismo Sardo, non si tratta di reale crescita politica e culturale, ma semplicemente di una passerella dove ognuno conferma il proprio ego, persistendo nei classici errori.
Per noi non esiste alcuna crisi di struttura dell’autonomismo, così come l’avete definita, per il semplice fatto che noi non riteniamo esista alcun concreto autonomismo istituzionale. Basti pensare alla rigidità dell’art. 117 della Costituzione Italiana per capirlo, ed osservare l’assoluta organicità dei partiti italiani in Sardegna al centralismo sociale, culturale, politico ed economico romano. Elementi a voi ben noti.
Un vero autonomismo non può essere contrapposto all’indipendentismo, se non sul piano esclusivamente propagandistico. Perché pensare di arrivare all’indipendenza senza prima costruire le basi della sovranità equivale al voler arrivare al secondo piano di una casa senza salire le scale.
Come in passato abbiamo avvisato del mutamento del bipolarismo italiano con l’avvento di PD e PDL, oggi ravvisiamo gli stessi ritardi delle sigle politiche indipendentiste nel pianificare e disegnare il proprio ruolo in questa società. Comprendo che il vostro timore sia l’avvento di due partiti italiani in salsa neo-autonomista, che parlerebbero di “Nazione Sarda” ma proseguendo nei fatti la solita questua assistenzialista verso lo Stato centrale, perché temete la scomparsa dell’indipendentismo. Al contrario, mi auguro arrivino, per stimolare proprio le vostre sigle politiche ad un maggior coraggio riformistico ed unitario. Ma oggi non è con le pre-selezioni ideologiche ed anti-sardiste che si costruirà un robusto progetto politico capace di capitalizzare il disagio sociale, valorizzando anche la nostra identità territoriale. Un progetto che risulti quindi competitivo anche sul piano elettorale.
L’autoreferenzialità di poche sigle che da sole si arrogano il diritto di decidere come e quali sono gli interessi natzionali Sardi è l’ultimo degli errori su cui possiamo imbarcarci. La base deve quindi essere estesa.
Tutto questo lo dico, si badi bene, non cercando di convincere nessuno ad avanzare da un modello comunista ad uno socialdemocratico e/o liberale, ma perché la Sardegna non ha bisogno di 10 movimenti che replicano le stesse cose, divisi e senza fattualmente interagire sul piano delle grandi riforme quando e se arriverà il loro momento (anche alleandosi con qualche sigla italiana, un tabù da sfatare). Non contano le etichette, ma le persone ed il peso politico con cui si intende scrivere una road map di obiettivi riformistici da perseguire.
L’indipendentismo deve capire che in queste condizioni non può pensare di cambiare la struttura delle istituzioni regionali, ancora meno sviluppare una coscienza nazionale Sarda.
Servono ancora riforme interne ai vari movimenti indipendentisti, serve maggiore unità, serve maggior coinvolgimento, servono meno veti contro alcune parti della società e della politica Sarda, e soprattutto, serve la volontà di capire che ogni nostro ritardo equivale a due mosse in avanti da parte del nostro invisibile ma onnipresente avversario dall’altra parte della scacchiera: Il centralismo.

Bomboi Adriano.

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