A tu per tu con l’incendio – Di Claudia Aru
Pubblichiamo una testimonianza della musicista Sarda Claudia Aru.
Puzzo di fuliggine, gli occhi mi lacrimano, l’adrenalina lentamente cede il passo a una forte emicrania ma non posso aspettare un minuto di più: devo raccontare quello che ho vissuto oggi 26.08.2011.
Era il primo pomeriggio, ricevo una telefonata “Claudia, c’è un grosso incendio nella zona di Montevecchio, devo fare un servizio per la stampa, vieni?”, dopo 10 minuti ero già in macchina, usciamo da Gonnosfanadiga e scorgiamo un piccola colonna di fumo in lontananza: “ E quello cos’è? E’ un altro”.
Decidiamo di puntare verso quel “piccolo” fuoco, sono le 14,45, siamo nelle campagne di Arbus, quelle che da che ho ricordi, percorro per andare al mare. Arriviamo, il fuoco è appena partito, ci sono pochi uomini della protezione civile, è ancora domabile, purtroppo hanno solo un mezzo, ci avviciniamo e chiediamo come mai non intervengono, “La macchina non funziona”, mi dicono con aria perplessa. In realtà oggi è un giorno particolare, dopo questa bolla di calore asfissiante che ha reso tutto particolarmente arido, oggi è entrato il vento: libeccio, “il peggiore in questi casi”.
Siamo lì, facciamo foto, aspettiamo che arrivino i soccorsi. Lentamente arrivano i Carabinieri, sudati e infastiditi ci fanno spostare le macchine, hanno la mitragliatrice penzolante, mi chiedo a cosa serva in quel contesto ma poi ricordo che non possono abbandonarla incustodita ma il loro aiuto, anche per questo, è limitato. Arriva la protezione civile, sono scoordinati, urlano tra di loro ma la realtà è che non hanno mezzi adatti, il fuoco si propaga con una rapidità disarmante. Sento un rumore strano e paradossale perché sembra acqua che scroscia ma non è acqua sono le fronde che bruciano ed emanano un calore insopportabile. Io sono lì, attonita che scatto foto e non ho la reale dimensione del danno perché la vista non è delle migliori, c’è tanto fumo e il calore mi allontana. Decidiamo di spostarci, ci infiliamo nelle stradine interne, guidati da pastori e agricoltori locali, mi sconcerta la loro tranquillità: “questa zona è durata anche troppo”, erano oltre 10 anni che non la bruciavano, come se fosse una cosa normale, in realtà loro conoscono il territorio e le sue falle e sanno benissimo che qui le ritorsioni nei confronti delle istituzioni e gli errori dei “nemici” spesso si fanno pagare col fuoco, non tenendo in considerazione che a pagarne lo scotto siamo tutti, tutti, nessuno escluso. Ci offrono dell’acqua fresca, è incredibile l’arsura che scatena stare così vicini al fuoco. Mi dicono: “Siamo senza mezzi aerei e questo incendio lo combatti solo così”, mi chiedo come mai non ci siano allora questi aerei. “Sembrerebbe che siano tutti in Italia, in Liguria, anche quelli sardi sono lì” dicono. La Sardegna in uno dei giorni più pericolosi per gli incendi sembra sprovvista di aerei. Da questa postazione la visione è ancora peggiore. Il cielo è grigio, improvvisamente sembra sia diventata sera, in realtà sono le 15,45 . Il sole è una palla arancione che si confonde con le lingue infuocate sempre più alte e minacciose. A un certo punto sembra che nevichi, in realtà sono le foglie di macchia mediterranea arse che volano nel cielo posandosi sulle cose proprio come neve. Ero con una piccola squadra della forestale, li ho visti sudare e diventare paonazzi nel cercare di lottare con un nemico incredibilmente più grande di loro, ma coi mezzi di terra si può fare ben poco, servono gli aerei, accidenti, gli aerei!
Sono le 17,30, sembra passata un’eternità, vediamo un uomo sfrecciare e correre in una strada laterale: “Ha i terreni e una casa qui”, mi dicono. Lo vedo correre disperato ma il fuoco sembra inarrestabile e continua ad avanzare senza sosta. Vediamo la casa, non è lontana, sembra salvarsi, a un certo punto parte il fuoco dal tetto, in pochi secondi è avvolta dalle fiamme, di quel signore non so più nulla, immagino solo il suo dolore. Vediamo dei cervi meravigliosi scappare disperati, poco dopo mi sfreccia davanti una splendida volpe in cerca di riparo e penso: “Questa è casa loro, cosa c’entrano in tutto questo?”. Incontriamo altre persone, un vecchio molto saggio chiede: “Ma gli aerei?” La forestale risponde che stanno arrivando , la sua lapidaria risposta dice più di mille parole: “Perfettu, arribanta imoi ca esti totu abruxiau”. Sono le 18,15 e sentiamo un suono d’aereo, si accende la speranza, cominciano a gettare acqua, è come se avessero cominciato ad affrontarlo solo ora. Erano le 14,45 quando c’erano solo poche lingue di fuoco, sono le 18,30 e la distruzione è a perdita d’occhio.
Vado a vedere cosa lascia il fuoco: sono scheletri neri di alberi e arbusti carbonizzati fumanti, il perfetto scenario dell’inferno Dantesco. Si perché questo mi sento di aver vissuto oggi, ho vissuto l’inferno e l’idea che sia stato un mio simile a scatenarlo mi lascia un dolore inconsolabile.
matriota.blogspot.com, 26-08-11.
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Redazione SANATZIONE.EU