Crisi economica, Galsi, Nuraghi fuori dall’UNESCO e Libia: partiti Sardi e Italiani assenti

Cari Lettori,

Repetita juvant! Il momento sarebbe propizio per la nostra isola se i movimenti politici Sardi fossero pronti a raccogliere le sfide a cui i nostri concittadini ci chiamano. In termini politici, l’intera classe dirigente regionale, di maggioranza e di opposizione, di fronte alla crisi sta evidenziando tutti i propri ritardi culturali. Gli esempi a disposizione non mancano: mentre questo settembre faremo la conta dei danni subiti dalla Sardegna nel corso della stagione estiva e mentre PD, PDL ed affini sgomitano a Roma, a Barcellona la nostra isola è stata la grande assente dalla fiera internazionale del turismo. Non solo: la Regione non ha promosso la tutela e la valorizzazione dei nuraghi Sardi al fine di farli diventare candidati accettabili per l’UNESCO come patrimonio dell’umanità (La Nuova, 26-08-11). Un titolo di cui per adesso si fregia solo la reggia nuragica di Barumini. Come se l’Egitto si limitasse a promuovere il Mar Rosso ma non le piramidi. La stessa Regione ha agito con colpevole ritardo sul sistema dei Trasporti. Un problema che non riguarda solo gli armatori, ma l’insipienza degli amministratori regionali, i quali, avendo scordato la riforma dello Statuto Sardo, oggi si ritrovano senza neppure maggiori strumenti legislativi con cui opporsi ad una politica centrale palesemente ostile ai nostri interessi territoriali. Un fattore a cui si somma la mediocrità dell’opposizione regionale, anch’essa culturalmente inadeguata alla promozione del nostro valore aggiunto ed occupata a chiedere le dimissioni della Giunta ad oltranza senza offrire alcun contenuto programmatico valido come alternativa. Ciò nonostante si continua a parlare di Vendola, di Berlusconi e di Bersani. Quasi che la dialettica politica romana sia in tutto e per tutto connessa alle nostre specifiche esigenze. Per darvi una misura del contesto nel quale ci troviamo, vi basti pensare che la maggioranza regionale ha speso per un convegno politico-culturale a Rimini ben 100.000 euro (spacciati come investimento promozionale della Sardegna), mentre il PD Sardo organizzava per fine agosto a Genna Silana una “scuola di formazione” chiamata “verso Crotone” (per farvi capire il livello d’interesse alla Sardegna) in cui – tra i vari temi – si parlava di identità e informazione (italiana ma non Sarda).
Nel frattempo la disoccupazione continua ad avanzare, la burocrazia è un ostacolo agli investimenti e le risorse disponibili per lo sviluppo non vengono pianificate. Pensiamo infatti ai fondi europei inutilizzati. Ma se il qualunquismo e la denuncia di questa classe politica non rappresentano una soluzione, l’alternativa dovrebbe essere rappresentata dai partiti Sardi, i quali avrebbero potuto sfruttare questa verticale perdita di credibilità della partitocrazia italiana in un momento in cui lo Stato cerca di scaricare anche sulle Autonomie Speciali il peso del suo debito pubblico per far fronte alla più vasta crisi internazionale.
I partiti autonomisti ed indipendentisti Sardi sono purtroppo ancora impegnati in una velleitaria competizione interna del tutto estranea ai bisogni del Popolo Sardo. La loro frammentazione non consente di offrire all’elettorato un punto di riferimento, né quindi un progetto politico da condividere per poter immaginare il futuro dei nostri figli. Il solo apparire per dei comunicati inerenti la vita politica Sarda (ma che non avranno alcun effetto pratico in essa) non è più sinonimo di garanzia ma in taluni casi solo di protagonismo fine a se stesso. Una linea non più giustificabile.
Se è vero che la crisi in Sardegna è sempre stata una costante, i movimenti Sardi dovrebbero comunque tenere conto dell’eccezionalità di questo difficile momento storico aprendosi a nuove forme di dialogo e valutando con attenzione la sempre maggiore insofferenza della propria base, ormai stanca di inseguire il solito gruppo di leader politici senza ottenere risultati concreti nell’interesse della Sardegna. La dispersione di questo potenziale politico, oltre a non produrre alcun percorso strategico destinato a fare pressioni affinché si riformino le istituzioni dell’isola, risulta persino inadeguato nelle singole vertenze su cui non ha alcuna voce in capitolo ma su cui neppure lavora per averla. Ci riferiamo all’assenza di posizioni su temi quali il gasdotto Algeria-Italia (Galsi), o il conflitto libico in corso. Spesso infatti i comunicati non solo non hanno alcuna influenza pratica (data l’inconsistenza politica determinata da una scarsa presenza dell’indipendentismo sul piano amministrativo regionale), ma perseguono linee ideologiche del tutto avulse dall’interesse generale del territorio. Ad esempio sul tema del gasdotto si preferisce dichiararlo inutile in partenza piuttosto che fare pressioni affinché avvenga la distribuzione del metano anche in Sardegna. Altro esempio, sulla Libia ci si ferma a dichiarazioni di principio senza valutare il potenziale impatto del conflitto sulle numerose aziende Sarde impegnate a Tripoli e che necessitano di una politica vicina alle rispettive esigenze (anche al fine di sviluppare i nostri investimenti) in considerazione del nuovo quadro politico emergente nella sponda sud del Mediterraneo. Si denota cioè l’assenza di un pragmatismo nella linea politica complessiva che non va necessariamente anteposto a valori etico-morali di cui l’indipendentismo, secondo varie sfumature, si ritiene portatore.
Ma prima ancora di ragionare in termini di opere strategiche e di politica estera, si denota la più totale assenza di dialogo con i ceti produttivi ed imprenditoriali della Sardegna. Un ambito da cui l’indipendentismo continua pervicacemente a tenersi lontano. Si tratta di un limite a cui cerca di sopperire la Confederazione Sindacale Sarda rispetto al blocco politico-sindacale italiano (vedere la lettera inviata dall’organizzazione al Presidente Cappellacci sui lavoratori di Eurallumina). Nonostante la CSS sia priva di quel valido riconoscimento formale che ad un sindacalismo territoriale non dovrebbe mancare.
Questa disordinata comunità indipendentista Sarda dunque non solo non riesce a capitalizzare l’inefficienza della partitocrazia italiana sviluppando consenso presso la società Sarda, ma per logica conseguenza non riesce neppure a far emergere le contraddizioni in seno alla politica regionale, contribuendo alla formazione di un blocco riformista che possa andare oltre le singole bandierine di movimento, siano esse di destra, centro o sinistra.
Invitiamo dunque i movimenti Sardi a superare la stagione dei particolarismi. La Sardegna ha bisogno di una classe dirigente dalle idee chiare e capace di trasmettere i valori della collaborazione, delle riforme e dell’impegno.

Di Roberto M. e Adriano B.

Iscarica custu articulu in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

Be Sociable, Share!

    2 Commenti

    • Ita bolleus fai si teneus custa genti chi in noj annus no at deciriu ita depint fai de su Parcu Geomineariu, si ndi bogant is credentzilis custus de s’UNESCO, accabbaus de arrumbiai de diaberus! No sciu e poita manchint de su Parcu, comunus che Bosa, Seneghe, Padria, Mara, Ardara, is cosas fatas a s’afferra-afferra!!

    • Ottima iniziativa,di questo argomento ne ho discusso diverse volte con Marco Giola l’opinione di entrambi e’stata quasi sempre convergente. Credo che Marco possa essere la persona piu’ adatta per sondare se esistono i presupposti per far convergere,sotto un’unica bandiera,l’intellighentia sarda propositiva,coraggiosa,acculturata e combattiva.

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.