Il ‘porta a porta’ della democrazia: dalle elezioni in Myanmar alla Francia
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Il vento della democrazia non si arresta. E sia che si tratti di libere elezioni o consultazioni da regime, i popoli premono per il cambiamento. La vittoria di Aung San Suu Kyi in Myanmar e il vantaggio di Hollande su Sarkozy in Francia hanno dimostrato l’esistenza di un modo di fare politica non ancora del tutto estinto dalla penetrazione dei media e delle clientele. Si tratta dell’attivismo.
A Parigi, secondo lo staff del candidato socialista Hollande, il risultato sarebbe merito dell’azione sul territorio di circa 80.000 volontari che hanno fruttato circa 160.000 voti. Il direttore della campagna Pierre Moscovici avrebbe rilevato un 2% di partecipazione in più nei seggi delle località in cui si è tenuto il “porta a porta” a favore di Hollande (ANSA, 27-04-12).
Al primo turno del 22 aprile, il presidente uscente Nicolas Sarkozy ha ottenuto il 27,1% di consensi rispetto al 28,6% di Francois Hollande. Da considerare la tendenza euroscetticista che ha accompagnato buona parte dell’elettorato francese in questo periodo di crisi economica e che ha portato ad un incremento delle preferenze verso orientamenti conservatori e distanti dai due classici partiti tradizionali di destra e sinistra. In primo luogo si segnala al terzo posto la crescita del Fronte Nazionale di Marine Le Pen al 17,9%. A seguire il candidato della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon (11,3% dei voti), portavoce del partito Front de Gauche.
Da registrare anche l’alta astensione e la sfiducia dell’elettorato nella politica (come in vari Paesi UE attraversati dalla crisi). La Francia ha un debito pubblico che sfiora il 90% del prodotto interno lordo, e dinnanzi a questo aspetto, Hollande ha presentato la sua ricetta, costituita da un aumento della pressione fiscale, della spesa pubblica e da una riduzione dell’età pensionabile. Un programma che preoccupa i mercati, timorosi che questi interventi possano spingere Parigi verso una fase di stagnazione maggiore, con conseguenze disastrose per il resto dell’eurozona.
Il passaggio all’Eliseo di un pacchetto di interventi economici quali quelli promossi da Hollande potrebbe influenzare pesantemente l’asse franco-tedesco dei rapporti sulle politiche di austerity attuate dall’Europa e dare un nuovo corso alla politica di Berlino.
Ma se nella Francia dell’astensione e della sfiducia l’attivismo ha premiato di misura i socialisti, nel regime del Myanmar (Birmania), l’alta partecipazione al voto dello scorso primo aprile ha sancito la buona performance del partito di Aung San Suu Kyi, Nobel per la pace da anni impegnata con la sua Lega Nazionale per la Democrazia nel processo di liberazione del Paese dalla Giunta militare al potere. Nelle prime ore seguite al voto il partito aveva già annunciato senza problemi la conquista di 43 dei 44 seggi disponibili alla Camera bassa del Parlamento.
La San Suu Kyi si è trovata in una fase favorevole alla promozione dei suoi obiettivi. Il regime guidato dal generale Thein Sein avrebbe come obiettivo quello di smarcarsi dall’influenza cinese favorendo tiepide aperture alle opposizioni, al contempo, la Lega Nazionale per la Democrazia avrebbe le carte in regola per avviare questo processo in parallelo al superamento del regime, grazie alle sponde internazionali che per favorire l’intento avrebbero annunciato l’ammorbidimento delle restrizioni imposte alla Birmania. Tali sanzioni, ad eccezione dell’embargo di armi, comprendono le restrizioni commerciali a 800 imprese manifatturiere del legno e delle pietre preziose, a 59 società e organizzazioni varie e il blocco dei beni per 491 agenti della vecchia giunta militare. In seguito, i ministri degli esteri dell’Unione Europea hanno chiesto la liberazione di tutti i prigionieri politici e la fine di tutte le limitazioni imposte a quelli già liberati.
L’elezione di Aung San Suu Kyi nel Parlamento birmano ha creato alcuni malumori in seno alla diplomazia internazionale per il diniego della pacifista di giurare fedeltà alla Costituzione militare. Per alcuni osservatori la manovra potrebbe ostacolare le aperture del regime, mentre per la Lega Nazionale per la Democrazia si è trattato di una legittima coerenza coi suoi principi nell’opporsi ad una Giunta che dal 1990 tiene in pugno la nazione.
Il partito della leader birmana è ben conscio che qualsiasi avvallamento alla politica della dittatura sarebbe interpretato dall’elettorato come un cedimento nei suoi confronti. D’altra parte la Comunità Internazionale stessa non si trova nella condizione per esprimere consigli circa la tutela delle minoranze nazionali, in quanto, tutt’ora, ad esempio l’Europa, è formata da Stati che al loro interno faticano a riconoscere le proprio minoranze assicurandogli migliori diritti sovranitari. Pensiamo alla Spagna nei confronti della Catalogna e dei Paesi Baschi. E, secondo la lettura del nazionalismo Sardo, pensiamo anche all’Italia nei confronti della Sardegna.
Di Roberto Melis.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi