Giulio Calvisi (PD): il prototipo dei parlamentari Sardi che si lamentano ma che sostengono Roma
Qual è la forza di ogni grande democrazia? Da cosa è determinato il suo progresso? Vari sono gli elementi che concorrono allo sviluppo sociale ed economico di un territorio. Uno di questi è l’opinione pubblica, con il suo spirito critico nei confronti di chi è stato delegato dal Popolo in rappresentanza dei suoi interessi. La critica dunque come stimolo costruttivo, e non demolitivo, nei confronti di chi si è assunto la responsabilità di rappresentare un territorio con le sue specifiche esigenze.
Sotto questo profilo, non sono del tutto d’accordo con l’amico e scrittore Gianfranco Pintore nel suo timore di stilare liste di “buoni” o “cattivi” parlamentari, non si tratta infatti di creare deprecabili liste di proscrizione, ma semplicemente di informare i cittadini sulla forma e sui contenuti delle posizioni assunte dai nostri rappresentanti territoriali. Ed ovviamente, come nella grande stampa internazionale, a tali posizioni sarebbe opportuno associare dei nomi e dei cognomi. E’ il prezzo da pagare per chi è stato investito di una carica pubblica destinata a rappresentare una collettività.
L’assenza di responsabilità diretta è uno dei motivi per i quali, fin dai tempi del Regno d’Italia, i nostri parlamentari non si sono mai assunti il peso simbolico e politico delle loro scelte, reiterando vizi e virtù nel corso del tempo, in quanto protetti da una sorta di “anonimato professionale” circa il loro effettivo operato. Un operato che finiva sempre per fondersi a cavallo fra l’ingenua convinzione di confidare unicamente nello Stato, e fra una dialettica politica che tutto poteva essere, meno che vicina a quella dell’isola, con cui poco o nulla aveva a che spartire (magari incentivata dai lauti compensi offerti da Roma). Nel 1910, così Attilio Deffenu ne descriveva i tratti: “Da un lato la superstizione dell’onnipotenza statale, l’illusione nel paterno e provvido intervento governativo, dall’altro la passione politica, la quale talvolta anche i migliori attira nel suo vortice rovinoso, distraendo la mente dalla visione dei più vitali problemi […] Tra un cinquantennio saremo al punto di partenza”.
Siamo nel 2012, da allora di anni ne sono passati 102, ed ecco lo scorso 20 luglio l’On. Giulio Calvisi del Partito Democratico alle prese col dilemma della privatizzazione di Tirrenia a favore degli armatori privati di CIN (Moby Lines):
“Sull’intero processo di privatizzazione pesano questioni ancora non del tutto chiarite e a tratti opache. Chiediamo al Governo e al Commissario D’Andrea il massimo della trasparenza mettendo subito a disposizione del Parlamento l’atto finale di compravendita con le nuove Convenzioni di servizio pubblico che la nuova compagnia dovrà osservare. Come abbiamo detto in moltissime occasioni, i fatti sono incontestabili: per otto anni i collegamenti della Sardegna con la Penisola saranno nella disponibilità di un solo operatore. Al monopolio pubblico si è sostituito, di fatto, uno privato.
La Regione non ha avuto e non avrà voce in capitolo su qualità della flotta, sulle frequenze e sul costo dei biglietti”.
Calvisi insomma giunge alla conclusione, come tanti altri, che l’azione dello Stato sui trasporti marittimi da e per la Sardegna si è rivelata insufficiente a risolvere i problemi e persino lesiva, riscontrando inoltre l’assenza di autonomia dell’isola nel poter programmare la sua politica dei trasporti. A questo punto qualsiasi cittadino di buonsenso penserebbe che il suo rappresentante (così come quelli del PDL e di altri partiti italici di questo o quello schieramento) si schieri contro il Governo centrale al fine di indurlo a tornare sui suoi passi per correggere la natura dei provvedimenti adottati. Al contrario, il 6 agosto Calvisi annunciava di voler votare a favore in Parlamento sulla “spending review” del Governo Monti. Le dichiarazioni rilasciate da Calvisi alla stampa hanno rasentato il grottesco: riconosceva i danni creati dal provvedimento Monti (e non solo in materia di trasporti) ma ciononostante riteneva valido sostenerlo. Alla domanda del giornalista che chiedeva dei tagli che avrebbero subito le Regioni Autonome, ecco Calvisi: “Anche in questo caso si assiste a una sperequazione incomprensibile. Si chiedono ai 9 milioni di abitanti delle 5 realtà a statuto autonomo di farsi carico di una sforbiciata infinitamente superiore a quella riservata alle 15 a statuto ordinario. Una stortura difficile da accettare”.
Il giornalista approdò quindi alla domanda più ovvia nei confronti del parlamentare: “Nessun margine per un ripensamento sul voto di fiducia?”
Ed ecco l’inaudita risposta di Calvisi: “Non siamo determinanti, il governo nemmeno si accorgerebbe di una nostra presa di posizione. Seguirò l’indicazione del mio gruppo”.
Traduzione: “Non contiamo nulla, quindi anch’io darò la zappata sui piedi alla Sardegna, perché così fanno gli amici”.
La replica di Calvisi è il simbolo del centralismo che tanti danni ha apportato all’emancipazione sociale ed economica dell’isola. Nonché il sintomo del conservatorismo, in quanto si accetta una situazione lesiva e la si consolida con la propria partecipazione. Tipico della “sindrome di Stoccolma”.
Di riforme, di federalismo e di sovranità per sovvertire tali iniquità non si parla, il gruppo partitico-parlamentare diventa dunque l’unico rifugio privilegiato a cui accodarsi. Tutto il resto, inclusa la Sardegna che l’ha eletto, diventa un problema relativo e da trattare in separata sede. Quale sia questa sede non è dato saperlo.
Analoga situazione ricoperta da Carmelo Porcu del PDL, a fronte dei pochi parlamentari Sardi di destra e sinistra che, pur facendo parte di partiti non-Sardi, si sono dissociati dai provvedimenti centralisti (come Pili del PDL e Palomba dell’IDV).
Contemporaneamente, dove la parola “Autonomia” è una cosa seria e dove meno abitanti della Sardegna (grazie alla loro specialità linguistica ed economica) riescono ad esprimere parlamentari che a differenza di Calvisi contano, la deputata del PD Luisa Gnecchi è stata messa sotto pressione da tutta la comunità altoatesina per il suo voto a favore del Governo Monti.
Durnwalder, rappresentante di un vero partito territoriale (SVP), ha affermato: “E’ incomprensibile che il PD voti provvedimenti che limitano sostanzialmente il nostro campo di azione”.
Da Calvisi, come da tutti gli altri parlamentari, ci aspettiamo maggiore solerzia a tutela dell’Autonomia Sarda e della sua specificità, a partire da quella linguistica, che durante la distrazione di tanti parlamentari Sardi è stata declassata al rango di una voce di bilancio da decurtare. I diritti umani non si decurtano. I Sardi, in quanto minoranza linguistica più vasta della Repubblica, devono essere considerati proprio in ragione del valore aggiunto che esprimono e per la sovranità che intendono esercitare sul proprio territorio. Inclusa quella fiscale.
Chi non vuole o non può rappresentare interessi che si scontrano palesemente con quelli di Roma, si dimetta. Fare nomi e cognomi è un dovere civico.
Di B. Adriano.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi
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