WISE Summit 2012: Progetti per l’educazione mondiale. E la Sardegna?

Cari Lettori, dal 13 al 15 novembre scorso si è svolto il summit annuale del WISE (World Innovation Summit for Education), che ha riunito oltre 1000 tecnici nel campo dell’educazione, cultori di ogni settore, tecnici della politica, ricercatori, studiosi, accademici, insegnanti, imprenditori e giornalisti. Il summit, lanciato nel 2009 da una libera organizzazione senza scopo di lucro (Qatar Foundation for Education, Science and Community Development), si tiene ogni anno a Doha, con l’obbiettivo di ispirare dei cambiamenti creativi nel campo dell’istruzione, incentrati sulla promozione dell’innovazione nel campo dell’educazione e della formazione. La tre giorni del convegno mondiale WISE ha permesso al visitatore di entrare in una comunità, che con l’assistenza di una vasta area espositiva, munita di grandi stand, video e informazioni altamente interattive, ha operato attraverso inviti nei laboratori, nei quali si sono mostrate attività propedeutiche e si sono gestite diverse opportunità di networking, anche in collaborazione con partner internazionali. Con l’opportunità di partecipare ad un programma di assegnazione di premi e di riconoscimenti per i progetti più creativi, (WISE Awards e WISE Prize for Education), che quest’anno sono andati al danese “RoboBraille”, all’americano “Cristo Rey network”, ad “Educar Cile”, al “Cambodia Childrens Fund”, al programma della scuola Satya Bharti in India, e alle scuole bengalesi ad energia solare. Il vincitore del Wise Prize 2012 è il professore indiano Madhav Chavan, premiato con una medaglia d’oro e con una somma di 500mila dollari, prontamente donati all’organizzazione indiana Pratham, per cui lavora, che si occupa di educazione per i bambini che vivono nelle baraccopoli.
Il tema del summit 2012 è stato “La collaborazione per il cambiamento”, cioè mettere in atto un insieme di progetti destinati a garantire alle masse, in qualsiasi contesto esse vivano, l’unico strumento fondamentale e indispensabile per entrare nella società, e mediante il quale è possibile cambiare il mondo: l’educazione.
La first lady del Qatar, Sheikha Mozah Bint Nasser, prima sostenitrice del progetto WISE, ha presentato il progetto della raccolta fondi “Educare un bambino”, per favorire l’accesso alla scuola ai 61 milioni di bambini che non hanno ancora alcuna possibilità per farlo. Un progetto di cui Irina Bokova dell’UNESCO ha sottolineato l’importanza, mettendo anche in evidenza lo stato di default dello sviluppo globale, dovuto alla crisi finanziaria che blocca la possibilità di investimenti sull’educazione e sulla formazione, persino nei Paesi occidentali.
Attorno al tema del degrado delle condizioni sociali nei Paesi più sviluppati e alla relazione tra istruzione e forza lavoro, si sono tenuti i dibattiti più accesi, convergendo sulla necessità di avviare nuove politiche educative per debellare il problema della disoccupazione.
Christine Evans-Klock, rappresentante dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ha rimarcato l’importanza di incentivare la crescita di posti di lavoro nell’immediato, e di investire sulla formazione per tutti, e non solo privilegiando una parte della società. Sono quindi intervenuti ai dibattiti diversi rettori provenienti da università di tutto il mondo, incentrando i discorsi sull’importanza di creare un connubio tra istruzione e competenze con le esigenze del mercato del lavoro e, proprio in merito al tema, più di 80 relatori hanno questionato sui modelli di formazione sostenibile.
Nella tre giorni del convegno, l’Italia, come la Spagna e la Grecia, per motivi differenti, sono stati oggetto di studio in qualità di Stati occidentali in cui si è determinata una crescita progressiva del livello di povertà, che ha limitato l’accesso alla formazione e alla pubblica istruzione.

Che commenti si possono fare al riguardo?
La politica Sarda, prima di quella italiana, è in tutta evidenza disattenta verso le politiche che riguardano l’educazione. E sono tanti i motivi per cui le università italiane e Sarde si collocano in basso alle classifiche delle più performanti università mondiali.
Che prestigio può avere la scuola e il territorio, se anziché basarsi sulla ricerca, sullo sviluppo, sull’innovazione, sull’identità, impone un programma deciso da uno Stato distante, sia geograficamente, economicamente e culturalmente? Sarebbero vari i temi aggiuntivi che avremmo potuto integrare al summit.
Nella nostra realtà, accade così che dopo tanti anni di scuola dell’obbligo, la maggior parte degli studenti presentano lacune inaccettabili e a dir poco scandalose. Ad esempio, quanti riuscirebbero a contestualizzare la civiltà Sarda nel Mediterraneo antico? O quanto può essere preparato un alunno Sardo che prende un ottimo voto per conoscere persino gli affluenti del fiume Po, in quanto a nome, lunghezza e profondità, salvo poi essere totalmente ignorante sui corsi d’acqua più importanti della Sardegna? Quanto può incidere tale preparazione della formazione di una seria industria turistica? E quanto può essere competente il professore che sia convinto sulla preparazione dei propri alunni solo per aver seguito alla lettera il programma imposto dal Ministero?

A costoro si aggiungano coloro che da sempre hanno avversato la lingua Sarda, che non hanno compreso che nella realtà dei paesi Sardi, malgrado tanti studenti siano eccelsi in diverse materie scolastiche, sono incompresi e difficilmente riescono a creare un gruppo solidale con la comunità per potenziare le proprie competenze. La stessa comunità si trova impoverita dalle norme che vengono imposte dallo Stato centrale, con una classe politica regionale incapace di intervenire anche sulla formazione del valore aggiunto che qualifica la nostra specialità, infatti i Sardi non sanno come tutelare il proprio patrimonio e la propria cultura. Ci si stupisce del fatto che sul territorio abbiamo un elevato tasso di disoccupazione, di emigrazione e di povertà, quando è proprio a questo che sembra prepararci la scuola italiana.

La riforma della scuola Sarda è quindi un tema da affrontare con assoluta priorità, e deve andare in antitesi con la nuova legislazione nazionalistica italiana, la quale, pensate, spreca addirittura tempo per l’insegnamento dell’inno italiano nelle scuole. Uno spreco che non è da considerarsi un investimento sulla cultura, ma anzi mette in evidenza la non competitività della classe politica, ormai incapace di studiare delle idee costruttive per combattere la crisi, ma anche indecisa e quindi debole sulle azioni da adottare. Aspetti rimarcati lo scorso novembre anche dalla Confederazione Sindacale Sarda, in occasione dell’audizione alla commissione sull’Istruzione del Consiglio regionale della Sardegna, in cui il Dr. Giacomo Meloni (segretario naz.le CSS), ha esposto un programma per la riforma della scuola Sarda. Aspetti che in Corsica hanno già appreso.
L’educazione è un diritto primario di ogni cittadino, la cui attuazione non può dipendere esclusivamente da uno Stato centrale in crisi.

Roberto Melis.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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