Legge elettorale e Lingua: Perché l’Alto Adige entra in Parlamento e ‘la Sardegna no’

Recita un passaggio della legge elettorale, il cosiddetto “porcellum”, sulle liste eleggibili:

a) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 10 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi ovvero una lista collegata rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbia conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione;

b) le singole liste non collegate che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi e le singole liste non collegate rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione, nonché le liste delle coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui alla lettera (a) ma che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi ovvero che siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione;

Cosa dice quindi la legge? Che se si è minoranza linguistica, riconosciuta nel proprio Statuto Regionale, il peso demografico non è influente nei termini del diritto alla rappresentatività nel Parlamento Italiano. In tal caso, ad un ipotetico Partito Nazionale Sardo, munito di una lista formata da sardofoni, sarebbe sufficiente conseguire il 20% dei voti nella propria circoscrizione, senza diluire la propria percentuale rispetto a tutte le altre circoscrizioni della Repubblica (dove infatti i Sardi non reggerebbero il confronto numerico).
Ecco perché il Trentino-Alto Adige/Sudtirol, fra alti e bassi, riesce puntualmente ad esprimere una rappresentanza territoriale a Roma, mentre i Sardi (occupati nei partiti italiani), non solo devono puntualmente battagliare alla corte dei partiti centralisti per esprimere candidature non catapultate dall’esterno, ma si ritrovano spesso e volentieri ad esprimere candidati del tutto organici ad interessi che nulla hanno a che vedere con la nostra specificità autonomistica, sia in campo economico, linguistico e culturale.
Ovviamente chi paga di più questo deficit nell’assenza di un utilizzo statutario (e quindi giuridico e politico) della Lingua Sarda, sono i partiti autonomisti ed indipendentisti Sardi, i quali, non potendo rientrare nell’opzione del 20% di voti conseguibili nella propria circoscrizione, o rinunciano in partenza, o corrono allo sbaraglio verso una sicura sconfitta, oppure elemosinano un seggio ad uno dei maggiori partiti del bipolarismo italiano.

Da considerare infine che l’Alto Adige elegge i propri rappresentanti nel quadro di un sistema uninominale, favorendo dunque maggiormente i partiti localistici piuttosto che quelli centralistici (Gerrymandering system).

Di Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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    10 Commenti

    • [...] Legge elettorale e Lingua: Perché l’Alto Adige entra in Parlamento e ‘la Sardegna no’ [...]

    • Gràtzias un’artìculu chi acrarat in finas una chistione chi mi fia ponende in custas dies…no cumprendia pro ite su Trentinu eja e nois nono!

    • [...] che non porterebbe alcun beneficio alla collettività. Non abbiamo saputo sfruttare bene la difficile legge elettorale con la quale i Sardi, in qualità di minoranza nazionale, devono potersi misurare. Ciò non toglie [...]

    • [...] Colgo quindi l’occasione per replicare a Luigi Masala, che ringrazio per l’attenzione, intervenuto sul forum dell’associazione “Diritto di Voto” in materia di “standardizzazione” della Lingua Sarda (Limba Sarda Comuna). In qualità di liberale, estremamente critico verso l’attuale Stato-nazione, non posso che concordare nella critica verso ogni imposizione calata dall’alto, non foss’altro perché in materia linguistica lo stesso italiano si è affermato a seguito di una costante e capillare rimozione delle varie lingue preesistenti alla Repubblica Italiana. E come ci ha sempre insegnato Popper, quando un diritto finisce per invadere quello degli altri, allora ci siamo mossi oltre il campo delle legittime libertà personali. Eppure, a prescindere dal colore della Giunta che la adottò, in materia di LSC non possiamo essere troppo severi, né dobbiamo confondere la linguistica con la politica linguistica. E paradossalmente, proprio la standardizzazione può essere uno strumento assolutamente valido per dare corpo ai diritti civili dei Sardi ed aumentarne il loro peso politico, attraverso quei movimenti che tutt’ora nella frammentazione e nella confusione ideologica finiscono spesso per sacrificare nell’indifferenza quell’unico elemento del territorio che, in assenza di una diffusa coscienza nazionale Sarda, può costituirne un saldo punto di riferimento e di sviluppo. E’ chiaro che nel 2013 la LSC che conosciamo non può dirsi come la soluzione a tutti i mali del Sardo, ma non possiamo neppure ignorare che, soprattutto negli ultimi 60 anni, la lingua Sarda ha subito un lento ma deciso processo di eradicazione sociale, un vuoto che è stato colmato dalla politica assimilazionista italiana. Non possiamo neppure affermare che la sola adozione di una koinè per i documenti regionali possa configurarsi come un serio e credibile “attentato” all’esistenza delle parlate comunemente utilizzate dai Sardi sul piano informale. La koinè avrebbe piuttosto l’obiettivo di integrare le varie sensibilità linguistiche del territorio sotto il profilo giuridico, ma non di sostituirle, come spesso viene impropriamente affermato. Il discorso che ci preme far passare è che la Lingua Sarda deve essere intesa come un unico corpus politico, pertanto, che l’adozione della koinè sia linguisticamente valida o meno è un tema che lasciamo volentieri alla competenza dei linguisti, ma che non può e non deve intaccare l’operazione politica di cui può essere protagonista. Che cosa intendo dire? Che prima di risolvere l’anarchia politica di coloro i quali propugnano la difesa del territorio, occorre risolvere la disputa che nella Lingua Sarda vede il discorso delle “varianti” usate come giustificazione per esaltarne una sua presunta frammentazione e impedirne l’istituzionalizzazione. E’ l’Hotel Front della questione linguistica Sarda. Una frammentazione che finisce puntualmente per fare il gioco di quelle forze centraliste (e anche nel mondo accademico isolano non sono poche), le quali temono un indirizzo politico della questione linguistica. Il tutto mentre il lento ma costante processo di assimilazione italiana prosegue indisturbato, tanto che le nuove generazioni oggi appaiono pienamente integrate nel modello socio-culturale di uno Stato accentratore e avverso alla specificità culturale ed economica dell’isola. In sintesi, la Sardegna non è l’Irlanda che appariva alla vigilia della sua indipendenza e neppure somiglia alle Colonie Americane che contestavano un regime fiscale iniquo alla Corona Britannica, da noi l’assimilazionismo linguistico contribuisce a consolidare ed accrescere l’identificazione della popolazione Sarda nella retorica del nazionalismo italiano (elemento coadiuvato da mass-media centralisti e da una Pubblica Istruzione tutt’altro che sensibile a questa problematica). In questo senso, in un preciso contesto come il nostro, il nazionalismo Sardo deve rendersi conto che la sola rivendicazione economicista, priva dell’elemento linguistico, potrebbe non essere sufficiente per la positiva riuscita di una collettiva rivendicazione degli interessi generali dell’isola (pensiamo all’esempio altoatesino). [...]

    • [...] nostra lingua territoriale non è una base per la rivendicazione dei diritti fiscali (pensiamo ai vantaggi elettorali ed economici delle Province di Trento e Bolzano con l’art. 117 della Costituzione). Né il [...]

    • [...] datosi che nessuna poi rappresentava la nostra minoranza nazionale e né avrebbe potuto usare la parte della legge elettorale che invece consente all’SVP, cioè al partito di un territorio che ha circa un milione di [...]

    • [...] status di minoranza linguistica nel proprio Statuto Autonomo, cosa che la Sardegna ancora non ha (Sa Natzione, 23-01-13). La seconda valenza politica del rispetto dello status di minoranza linguistica riguarda [...]

    • [...] percentuali alle minoranze linguistiche riconosciute come tali dal proprio Statuto Autonomo (vedere porcellum). Anche in questo caso chiederei volentieri a Giuliu Cherchi come pensa di aggirare [...]

    • [...] – Legge elettorale e Lingua: Perché l’Alto Adige entra in Parlamento e ‘la Sardegna no’ (Sa Nat…. [...]

    • [...] “mattarellum”, viene coperto dalla legge statale n. 270/2005 che specifica tale aspetto di cui vi abbiamo già parlato l’anno scorso. Per agganciare il nuovo “Italicum” i nostri parlamentari avrebbero dovuto considerare assieme [...]

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