Il Venezuela chavista: fra welfare e populismo autoritario
Il Sud America è una realtà politica peculiare e nella cui storia il populismo autoritario, di destra o sinistra, è sempre stato un componente fondamentale per lo sviluppo del consenso sociale. Il Venezuela si è trovato nell’avere un’area di centrodestra da sempre poco attenta ai bisogni della popolazione più indigente ed una presidenza impersonata dal populismo del defunto presidente Chavez, che ha cercato di colmare questo limite, ma a quale prezzo? E soprattutto, è stato un prezzo necessario? Probabilmente no.
Nel 2006 il prodotto interno lordo è cresciuto fino a 50 trilioni di bolivares (1 euro corrisponde a 5580.04 bolivares), e i programmi incentrati sulla nazionalizzazione delle imprese e dei pozzi petroliferi, con conseguente reinvestimento nella spesa pubblica dei profitti da esso derivati, hanno permesso lo stanziamento di 1.641 miliardi di bolivares (circa 314 milioni di euro) per la ricerca scientifica, per l’aumento del 40% degli stipendi degli insegnanti, per borse di studio e istruzione gratuita, e per la creazione di una banca popolare con bassi crediti per scopi sociali e umani. Questi buoni programmi sono stati condotti attraverso una politica statalista e autoritaria, a discapito della democrazia (pensiamo alla compressione degli spazi di comunicazione dell’opposizione con la chiusura dei media avversari di Chavez e persino alla modifica della Costituzione per estendere il mandato presidenziale condotta a colpi di maggioranza). Tali politiche hanno estromesso Caracas da un generale trend di crescita invece presente in buona parte del Sud America e si è inoltre determinato un pesante debito pubblico con una vasta inflazione ed una conseguente svalutazione del Bolivar. Per il controllo dell’inflazione (la più alta di tutta l’America latina) sono state istituite misure che comprendono l’aumento del salario minimo sopra il livello dell’inflazione accumulata, la politica dei prezzi ridotti, la prosecuzione del regime di nazionalizzazione dell’industria petrolifera e l’allontanamento degli investimenti esteri che hanno causato la conseguente compressione dell’offerta e l’espansione della domanda, con il relativo rafforzamento dello Stato centrale, e di tutti i suoi monopoli capaci di drogare l’economia spingendola verso un possibile default. Attualmente una parte del debito estero del Venezuela viene pagato direttamente alla Cina (uno dei Paesi creditori) attraverso la cessione di una percentuale periodica della produzione petrolifera, sottraendo quindi alle comunità importanti risorse (240.000 barili sui 640.000 destinati a Pechino, suo secondo partner economico).
Se pensiamo al Venezuela in quanto primo possessore delle maggiori riserve mondiali di oro nero e ad una popolazione di soli 30 milioni di abitanti, è paradossale che rispetto ad altre realtà internazionali lo Stato non fosse mai riuscito a fornire assistenza sanitaria e pubblica istruzione gratuita per tutti (l’Italia la offre da decenni, a fronte di una popolazione di circa 60 milioni di abitanti e senza il potenziale petrolifero di cui beneficia Caracas). Il contesto sudamericano si è dunque favorevolmente prestato all’instaurazione di un regime populista che, sulla falsariga di altri autoritarismi sparsi nel mondo e dotati di una retorica anti-capitalistica, sfrutta appieno un potente welfare state ed un potente conflitto di interessi nei mass-media e nel controllo dell’opposizione come strumento per conservare ed accrescere il consenso filo-governativo.
E nel frattempo, dall’inizio del governo Chavez ad oggi, il tasso di omicidi nel Paese è quasi triplicato, Caracas è diventata la terza città più violenta del Sud America, e con la polizia implicata in alcuni di questi crimini contro politici e giornalisti.
In definitiva, una linea rigida e autoritaria di questo genere ha portato in realtà all’illusione del benessere, e ad un impoverimento globale di tutta la nazione, che è diventata preda per gli speculatori di tutto il mondo. Privatasi anche degli strumenti di tutela offerti dal Fondo Monetario Internazionale.
Ma la politica cerca di voltare pagina, chi all’insegna della continuità, e chi per favorire un nuovo processo di democratizzazione del Paese. Secondo la Costituzione, le elezioni presidenziali per il nuovo governo venezuelano dovranno tenersi entro 30 giorni dalla morte del presidente.
Il socialista Nicolas Maduro ha giurato come nuovo presidente ad interim fino alle prossime elezioni, ed insieme al presidente dell’assemblea nazionale Diosdao Cabello, ha promesso di portare avanti l’agenda di Chavez, mentre per l’opposizione si candiderà Henrique Capriles, leader della tavola dell’Unità democratica ed esponente del partito “Primero justicia”, che accusa Maduro di non essere stato scelto dal popolo tramite elezioni e di essere salito solo provvisoriamente al potere in maniera non trasparente.
Fra le maggiori potenze internazionali, il presidente USA Obama ha messo in evidenza il momento storico, da cui inizia un nuovo capitolo per il Venezuela, riconfermando il sostegno degli Stati Uniti (spesso accusato dalle autorità bolivariane di fomentare disordini interni) e l’interesse a sviluppare una relazione costruttiva con il nuovo governo.
Il presidente russo Vladimir Putin ha auspicato che Venezuela e Russia continuino a cooperare anche dopo la morte del presidente, Mosca è infatti da tempo un partner strategico di Caracas se si pensa che dopo l’embargo degli USA il Venezuela ha intrapreso l’acquisto di armamenti in Russia. I contratti nel settore tecnico-militare e in quello petrolifero erano un importante elemento dei rapporti tra Putin e Chavez.
Chavez verrà ricordato quindi per aver tenuto viva la speranza di un cambiamento economico e sociale, ma verrà ricordato anche per non aver rafforzato le istituzioni democratiche, e per non aver portato il suo Paese sul cammino di una vera crescita economica.
Maduro ha annunciato il prossimo programma di svalutazione della moneta nazionale mentre si registrano già penurie di generi di prima necessità e il potere d’acquisto dei cittadini è stato drasticamente ridotto.
Per sopravvivere sotto al peso di una crisi ormai strutturale, determinata dall’onnipresenza dello Stato sulla propria economia, le autorità dovranno imporre delle misure atte a incoraggiare l’iniziativa privata e il libero mercato, a contenere la spesa pubblica, ad aprirsi maggiormente ai mercati e introdurre nuove misure per favorire gli investimenti esteri penalizzati nel corso del governo di Chavez.
Di Roberto Melis.
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