Nelle memorie di Garibaldi l’invito a formare una dittatura

Gli agrari e il dittatore.

La famiglia di Garibaldi non era ricca ma non se la passava male. Il padre era un padroncino che possedeva una barca con la quale commerciava lungo la costa arrivando fino a Roma ma loro erano comunque gente del popolo. E’ quindi sorprendente leggere nelle sue Memorie come lui si trovasse a suo agio in mezzo alla ricca aristocrazia, una classe sociale che normalmente non amava mischiarsi con gente di rango così inferiore. E’ evidente che Garibaldi amava passare il tempo con i ricchi aristocratici e che loro erano estremamente sensibili al suo fascino.
In Brasile, tra una battaglia e l’altra, va a riposarsi e a distrarsi nelle ricche fattorie dei latifondisti schiavisti che avevano scatenato la rivolta: “Le estancias ove noi approdavamo erano quelle di Donna Antonia e di Donna Ana, ambe sorelle di Bento Goncales … io posso assicurare che nessuna delle circostanze della mia vita mi si presenta al pensiero con più fascino, con più dolcezza, e più piacevole riminiscenza di quella passata nell’amabilissimo consorzio di quelle signore e delle care loro famiglie”. Questa familiarità ha un motivo politico e lui ce lo descrive correttamente quando torna in Italia e partecipa al Risorgimento. Qui può constatare che le classi agiate, che sanno e possono leggere la letteratura progressista, sono state in larga parte conquistate alle nuove idee giacobine e nazionaliste mente il popolo contadino è ostile alla rivoluzione. Secondo lui questo è dovuto al fatto che la classe contadina: “… sia per esser essa creatura e pasto di preti, sia per esser generalmente nemica dei propri padroni …” perché i padroni parteggiavano per lui. Qui possiamo già vedere un elemento di lotta di classe (popolo contadino contro padroni) che si svilupperà in un modo drammatico lungo il Risorgimento.
Tornato in Italia dopo la sconfitta della Repubblica Romana, si compra mezza Caprera e inizia a viaggiare soprattutto in Inghilterra ove la buona società smania per lui, in particolare le signore. Si fidanza con una di queste e lei gli regala un panfilo che sarà però distrutto da un incendio, poi si fidanza con la ricca figlia di un banchiere. Dopo l’impresa dei Mille diviene intimo amico del più ricco aristocratico d’Inghilterra che gli regala un altro panfilo e diventa un assiduo frequentatore di Caprera. Il Mack Smith scrive: “Non si esagera a dire che la causa del Risorgimento italiano divenne popolare in Inghilterra soprattutto grazie alla fascinosa popolarità di Garibaldi, il quale guadagnò in tal modo al suo paese un punto per nulla ufficiale e tuttavia di grande importanza politica … Ai loro occhi egli era l’eroe romantico di successo, che trattava le donne come fossero già emancipate e con una galanteria per nulla vittoriana.”
Questa massa di nobilastri annoiati che smaniavano per lui la si potrebbe definire un anticipo dell’”utile idiota” e non ha lasciato un segno nella nuova Italia che stava nascendo ma questo amore per l’aristocrazia terriera prenderà uno sviluppo drammatico con la spedizione dei Mille. Cinquanta anni prima della spedizione, lo smantellamento del feudalesimo aveva provocato drammatici contrasti nel  Meridione tra i grandi feudatari-proprietari e il popolo contadino per l’assegnazione delle terre. Utilizzando bande di delinquenti a pagamento gli agrari si erano impossessati di grandi estensioni di terra mentre il governo borbonico faceva fatica a ristabilire la legalità e a restituire le terre al popolo.
Quando Garibaldi sbarca a Marsala lancia un proclama ove promette le terre ai contadini che si batteranno per lui senza rendersi conto che avrebbe scatenato la loro rabbia. Quando poco dopo scoppiano i primi tumulti popolari Garibaldi getta la maschera e li reprime con fucilazioni sommarie: non aveva alcuna intenzione di farsi coinvolgere in conflitti sociali, lui doveva fare l’Italia. Così facendo Garibaldi si schiera con chi era sempre stato dalla sua parte: i padroni. Inizia così una politica ultrareazionaria che caratterizzerà tutta la vita politica del nuovo Regno d’Italia. Infatti nel Meridione scoppia la rivolta dei contadini (briganti), ovviamente fedeli ai Borbone, mentre i nuovi latifondisti scoprono di essere diventati patrioti italiani e si schierano con il conquistatore. In questo modo la guerra di conquista del Meridione provoca una guerra civile all’interno della società meridionale. Vincono gli italiani con i loro alleati, gli agrari, e il popolo contadino fugge con una emigrazione di massa verso le Americhe. Restano gli agrari che ora hanno il controllo della società meridionale che così si trova a essere già preparata a un regime fascista.
Inoltre, dato che solo i ricchi possono votare o essere eletti, il Meridione invia al parlamento italiano una classe di parlamentari ultrareazionaria e nazionalista, che si potrebbe definire proto-fascista, dando così una sterzata ultrarepressiva e ultrareazionaria a tutto il paese. Una situazione assolutamente nuova per i bravi padani abituati al paternalismo illuminato degli stati pre-unitari e così si produce in Padania una profonda alienazione nei confronti di questa nuova società italiana e del suo parlamento: è stato così che tutti i popoli della penisola sono rimasti vittime del Risorgimento che è stato di fatto un’apertura al fascismo. Questa alienazione nei confronti della nazione ove si vive è il  motivo per cui in Padania è nato il primo movimento politico nazionalsocialista della storia e, dopo la guerra, si è avuta la più alta percentuale di comunisti al mondo.
Questo atteggiamento “aristocratico” di Garibaldi si manifesta anche nelle sue teorie politiche. Sempre nella prefazione alle sue Memorie si dichiara: “Repubblicano, ma sempre più convinto della necessità di una dittatura onesta e temporaria a capo di quelle nazioni che, come la Francia, la Spagna e l’Italia, sono vittime del bizantinismo il più pernicioso.”. Quando lui si trova a gestire il potere si autonomina Dittatore, a Cavour consiglia che il re dovrebbe dichiararsi Dittatore d’Italia e in tutte le circostanze ove dovette occuparsi di politica consigliò di nominare un dittatore. Così lui si spiega: “Quanto a lui [Garibaldi], crede che Repubblica sia: il Governo della gente onesta … Non crede però alla durata del Governo Repubblicano composto da cinquecento individui [i parlamentari]. Egli è d’avviso che la libertà d’un popolo consista nella facoltà di eleggersi il proprio Governo, e questo Governo, secondo lui, dev’essere dittatoriale, cioè d’un uomo solo. … Vuole poi limitata a tempo determinato la Dittatura … In nessun caso accorderebbe ereditario il potere.” Qui ci dà un altro esempio della sua patologia. Si dichiara repubblicano e propone la dittatura; propone una dittatura “a tempo” negli stessi anni in cui accetta la presidenza della Lega per la Democrazia. Inoltre lungo tutta la sua vita non riuscirà mai a non esternare il suo disprezzo verso i parlamentari e il Parlamento.
Prima di morire ci lascia nel suo testamento: “… l’Italia deve proclamarsi Repubblica, ma non affidare la sua sorte a cinquecento dottori [i parlamentari], che dopo d’averla assordata con ciarle, la condurranno a rovina. Invece, scegliere il più onesto degli italiani e nominarlo dittatore temporaneo, con lo stesso potere che avevano i Fabi ed i Cincinnati. Il sistema dittatoriale durerà sinché la Nazione italiana sia più educata a libertà, e che la sua esistenza non si trovi più minacciata da potenti vicini. Allora la dittatura cederà il posto a regolare governo repubblicano”.

E’ evidente che il successo di Mussolini fu dovuto anche all’aver lui cavalcato l’onda lunga lanciata da Garibaldi.

- Tratto da “Garibaldi, il primo fascista”, di Marcello Caroti (YCP, 2013). Pt. IV, pubblicato per Diritto di Voto.

Iscarica custu articulu in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

Be Sociable, Share!

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.