Quel mito di Krugman e Barnard chiamato Argentina
Se in Ucraina le nubi iniziano a spostarsi verso il caso-Crimea, ben altre nubi continuano ad agitarsi sopra i cieli dell’Argentina. A fine 2013 Buenos Aires ha segnato un nuovo record negativo nella finanza internazionale: il “peso” ha subito una svalutazione del 25%. Ancora una volta il Paese si trova sull’orlo del default. Ma a cosa fu dovuta la crisi del 2001? Fondamentalmente da una espansione artificiosa del credito, tale per cui a fronte di 70 miliardi di dollari di depositi la banca centrale aveva riserve per soli 5,5 miliardi di dollari. La sovraesposizione fu il risultato di politiche economiche inadeguate e di una scarsa trasparenza del settore bancario. Ma dal 2001 ad oggi è successo qualcosa di nuovo. Alla nuova sovranità monetaria intrapresa dalla seconda economia sudamericana si è sommato il progressivo distacco dal Fondo Monetario Internazionale, con 8 anni di crescita in cui apparentemente si era assolto il pagamento verso i creditori, tenendo stabili i prezzi dei beni di prima necessità. Il problema è che la rinnovata sovranità in materia di politica economica non è stata accompagnata dalla responsabilità. Il governo di Buenos Aires ha intrapreso una linea nazionalista d’altri tempi accompagnata da una dottrina socialdemocratica per l’adozione di politiche destinate all’assistenzialismo e quindi all’incremento della spesa pubblica a fini redistributivi. La tentazione è diventata quella di stampare nuova moneta, mentre il governo ha tentato di occultare l’aumento dell’inflazione ufficializzandone il “dato politico” al 10,9%, a fronte di un tasso d’inflazione reale che oscilla fra il 25 ed il 30%. Lo spregiudicato ricorso alla spesa pubblica, spesso in funzione populistica, ha stimolato i tifosi del governo di Cristina Kirchner nella volontà di scaricare sulla finanza internazionale e sul “neoliberismo” dei mali che invece hanno origini nello statalismo argentino. Per certi versi ci sono delle analogie con il caso greco, dove dopo anni di disinvolta gestione della finanze pubbliche Atene cercò delle responsabilità internazionali prima che nazionali. Il contesto si è prestato a speculazioni ideologiche di vario tipo, spesso spacciate per economiche. Non ultime quelle di Paul Krugman, che, come ci ricorda The Fielder, elevò il caso argentino come esempio da seguire per l’Italia. Per non parlare dei seguaci della Modern Monetary Theory, la tautologia di Paolo Barnard che ha sviluppato una vera e propria “agiografia” del caso argentino, quasi che con la sola moneta si possano creare risorse dal nulla.
Se si volesse rivoluzionare seriamente la politica monetaria si potrebbe mettere in discussione il ruolo delle banche centrali, piuttosto che caricarle di significati che esulano dal reale andamento dell’economia. Ma per quanto riguarda l’Italia, non siamo certi che esista un idoneo clima culturale per intraprendere un simile dibattito.
Roberto Melis.
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